mercoledì 4 settembre 2013

pc 4 settembre- Basi e militari USA in Italia mantenuti con le tasse dei lavoratori!

Mauro Bulgarelli, ex deputato verde, denuncia: ogni anno i lavoratori italiani versano in media 400 milioni di euro per mantenere ufficiali e soldati dell’esercito Usa sul nostro territorio, da Aviano alla Maddalena, da Ghedi a Camp Derby.
Non solo: esistono in Italia, oltre alle oltre 120 basi dichiarate, più di 20 basi militari Usa totalmente segrete: non si sa dove sono, né che armi e che mezzi vi siano.

dal sito neoingegneria.com:

Tale dato è compreso nell’importante documento denominato “Report on Allied Contributions to the Common Defense” (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune), dove possiamo estrapolare notizie riguardanti l’impegno complessivo del nostro fisco verso gli USA.

Questo documento, consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla Difesa al Congresso degli Stati Uniti, contiene a pag. 6 della sezione I, questa strabiliante notizia: “Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37 (l’Italia) e il 27% dei costi di stazionamento di queste forze (le forze armate USA, ndr)”. Nel 1999, il tributo versato da Roma a Washington è stato pari a 530 milioni di dollari (circa 480 milioni di euro), mentre nel 2002 i contribuenti italiani parteciparono alle spese militari statunitensi per un ammontare di 326 milioni di dollari. 3 milioni furono dati in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite riguardanti trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si legge nelle carte ufficiali del Governo di Washington, nascono da “accordi bilaterali” (“bilateral agreements” nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti, il resto viene dalla suddivisione delle spese in ambito Nato.

Dal documento “Nato Burdensharing After Enlargment”, pubblicato nell’agosto 2001 dal Congressional Budget Office (Ufficio per il Bilancio) del Congresso USA, apprendiamo che il metodo di prelievo (alias di furto) adottato dagli USA, con la complicità dei governi italiani e a danno dei cittadini di questo paese coloniale, si chiama “burden-sharing” (“condivisione del peso”).

In particolare (capitolo III, pagina 27), si legge, i comandi militari USA stimano che grazie a questi accordi, soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano, “i contribuenti – (taxpayers) – americani hanno risparmiato circa 190 milioni di dollari”. E non è finita qui. Ancora nel rapporto “Defense Infrastructure”, consegnato nel luglio 2004 al Congresso da parte dell’”Ufficio governativo per la trasparenza”, (pag. 18) si legge che “nel bilancio 2001, Germania e Italia hanno dato i maggiori contributi, valutati rispettivamente in 862 e in 324 milioni di dollari”. Si tratta, spiega il rapporto, di contributi diretti e indiretti “aggiuntivi rispetto a quelli della Nato”.

C’è da chiedersi, a questo punto, cosa succederebbe nel caso in cui (eventualità “molto remota”) un qualche governo italiano, decidesse, in ordine alla difesa degli interessi nazionali, di disporre, come del resto sarebbe nel diritto di ogni Stato Sovrano (ma l’Italia, non lo è) di disporre la chiusura di una base militare. Da documenti più volte apparsi su Internet si evince che “i pagamenti di denaro italiano agli Stati Uniti non finiranno nemmeno nel caso ipotetico di chiusura di basi e installazioni nel nostro Paese”. Tale situazione è da imputare a specifici patti siglati dai governi di Roma e Washington e denominati “Returned Property – Residual Value”, peraltro reperibili negli atti ufficiali del Congresso americano. Si tratta di un meccanismo, tuttora in vigore, confermato di recente. In un’interessante testimonianza rilasciata dal colonnello Dean Fox (capo del Genio dell’Aviazione Usa in Europa) ai parlamentari degli Stati Uniti l’8 aprile del 1997, si legge che “Il ritiro (delle truppe, ndr) e la conseguente restituzione di alcune ex basi degli Stati Uniti alle nazioni ospitanti ha creato l’opportunità per gli Stati Uniti di reclamare il valore residuale come risarcimento degli investimenti statunitensi”.

In pratica, siamo alla presenza di un diritto al pagamento delle “migliorie” apportate dalle forze armate Usa a territori che avrebbero avuto prima un valore inferiore. È un po’ il discorso dei colonialisti che dicono: è vero vi abbiamo occupato, però vi abbiamo fatto strade, infrastrutture e quant’altro. Ora pagateci! Gli accordi riferiti all’Italia sono descritti (pag. 17) nelle “osservazioni preliminari” del rapporto che l’Ufficio della Casa Bianca per la trasparenza (il Goa) ha consegnato al Congresso nel luglio del 2004. In tale documento si legge che “Italia: gli accordi bilaterali stabiliscono che se il Governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni (dalla restituzione, ndr), gli Stati Uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale”.

In parole povere la conseguenza di tale clausola è che, oltre al pagamento dell’indennizzo, l’accordo prevede il riuso delle terre, in seguito all’aumento del rimborso. Appare a questo punto, grottesca la norma che prevede che gli Usa paghino alla nazione ospitante i danni ambientali, se non altro perché in un rapporto della Commissione governativa per le basi militari all’estero (9 maggio 2005) si legge che finora questi costi sono risultati “limitati”. Del resto danni ben più che ambientali, come la “strage del Cermis”, sono rimasti impuniti ed hanno ridicolizzato il nostro Paese, sbeffeggiato dalla giustizia USA. In conclusione: esiste un’intesa bilaterale USA-Italia, ma in caso di dismissioni di basi, il nostro Paese deve risarcire gli USA per “l’investimento” e se il sito militare chiude c’è anche l’indennizzo!

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