lunedì 17 giugno 2013

pc 17 giugno - La Fiat nel paese di cuccagna, ovvero come i padroni vivono di ammortizzatori sociali mentre scatenano la repressione contro gli operai...

Chi conosce o ha sentito parlare i padroni grandi medi o piccoli sa che questi si lamentano, piangono sempre miseria anche mentre si riempiono le tasche di miliardi.

Il sole 24 ore dell'altro ieri riporta una interessantissima inchiesta sui risparmi che la Fiat ha fatto in tutti questi anni approfittando soprattutto della cassa integrazione.

Questa inchiesta parte dal bilancio del gruppo (Fga - Fiat Group Automobiles) dicendo che per il 2012 è ancora in rosso di 1,35 miliardi di euro nonostante i risparmi. Quali risparmi? Per esempio quelli derivanti dalla chiusura degli stabilimenti, ma su questo Marchionne continua a fare il bugiardo incallito, e cioè in una occasione dice che “La scelta più facile e immediata, anche quella più razionale dal punto di vista economico, sarebbe quella di chiudere uno o più stabilimenti in Italia...” e in un'altra dice esattamente l'opposto “tenere aperti gli stabilimenti Fiat in Italia è una decisione razionale: chiuderli non è economicamente attraente”, tanto che perfino il giornalista si chiede “A quale dei due Marchionne bisogna credere?”

E aggiunge, per spiegare questo comportamento, che “Uno dei fattori più importanti che rendono economicamente razionale la decisione di non chiudere è la presenza, nel nostro Paese, di un meccanismo come la Cassa Integrazione...”, l'ammortizzatore sociale che fa tanto bene al padrone! e prova a “stimare il vantaggio economico derivante a Fiat dal suo utilizzo” anche se dice che è difficile. Seguiamo questo interessante riepilogo dell'utilizzo della cassa integrazione che vale anche per tante altre aziende oltre che per la Fiat. Le sottolineature sono nostre.

“Nei giorni di cassa integrazione (quella ordinaria, CIG, e la straordinaria, CIGS) l’azienda non paga stipendi e oneri sociali ma anticipa ai dipendenti una indennità che le viene poi rimborsata dall'Inps, in quei periodi dunque, il costo del lavoro scende (quasi) a zero. Per una fabbrica come quella di Melfi o Mirafiori (oltre 5mila dipendenti) il risparmio per ogni giorno di CIG si può stimare in 6-700mila euro. “Automotive News Europe” ha stimato l’anno scorso che un giorno di CIG ai cosiddetti enti centrali di Mirafiori (circa 5mila impiegati) fa risparmiare a Fiat “circa 1 milione di euro”.

E qui abbiamo già 1 milione di euro di risparmi! Ma continuiamo:

“L’impatto sui bilanci è evidente: nel 2012 la Sata spa, la società costituita per l’impianto di Melfi, evidenzia per esempio un risparmio sul costo del lavoro di 53 milioni di euro (44,6 al netto di altri oneri addizionali) rispetto all’anno precedente, dovuto a una diminuzione di 72 giornate lavorative; si tratta di 736mila o 620mila euro al giorno, a seconda di quale valore di risparmio si considera. Sempre nel 2012 il bilancio della Fiat Group Automobiles ha visto costo complessivo del personale di 760 milioni con 22.800 dipendenti; nel 2007, ultimo anno pre-crisi, lo stesso numero di dipendenti era costato 987milioni.

“Poiché la cassa integrazione è stata utilizzata ampiamente da Fiat, specie dal 2007/08 in poi, le somme in gioco raggiungono valori elevati. [e chi ha firmato sempre per questa ampia cassa integrazione? I sindacati confederali.] Il Sole24Ore ha fatto il calcolo per i soli stabilimenti italiani di produzione di auto di Fga e Sata (Melfi, Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese): si tratta di circa 30mila dipendenti, ovvero poco meno della metà dei 62 mila che Fiat occupa nel nostro Paese; restano fuori Ferrari, Maserati, Sevel e le fabbriche di motori e componenti. Il risparmio lordo sul costo del lavoro in 10 anni – dall’arrivo di Sergio Marchionne al Lingotto al 2014, quando dovrebbe finire la Cigs prevista a Melfi – può essere stimato in quasi 2 miliardi di euro. Il grosso della cifra è rappresentato dai lunghi periodi di Cassa straordinaria a Pomigliano, Mirafiori, Termini Imerese e Melfi. Non sono invece inclusi nel calcolo la Cassa integrazione tuttora in corso per fine attività a Termini Imerese, dopo la chiusura dello stabilimento a fine 2011, e quella straordinaria per ristrutturazione alla Oag di Grugliasco (ex Bertone).”

Quindi in 10 anni siamo a circa 2 miliardi di euro! E ancora si devono includere i risparmi di Termini Imerese e Grugliasco.

“Per calcolare il risparmio netto per il lingotto, dall'abbattimento dei costi salariali vanno sottratti i contributi che Fiat – come ogni azienda – paga annualmente al fondo di solidarietà dell’Inps (2,8% del monte salari per CIG più CIGS): nel caso di Fga e di Sata, i contributi sono pari a circa 20 milioni annui, poco meno di 200 milioni sull’arco di 10 anni. Ci sono poi i contributi che ogni azienda deve versare all’Inps nel momento in cui la cassa viene utilizzata. Questi ultimi, pari all’8% delle indennità pagate per la CIG e al 4,5% per la CIGS, non sono però dovuti per la cassa straordinaria quando essa è considerata come motivata da “eventi oggettivamente non evitabili”, è quanto successo alla Fiat per la CIGS dal 2009 in poi. Anche correggendo il risparmio al ribasso, per tener conto che i salari di dieci anni fa erano - sia pure non di molto - più bassi di quelli odierni, il risparmio netto per i soci Fiat può essere stimato attorno agli 1,7 miliardi di euro in 10 anni. Il risparmio, inoltre, non è distribuito in misura uniforme: negli anni della crisi, dal 2008 in poi, i minori costi hanno superato i 200 milioni annui. Va da sé [!!!] che il risparmio dell’azienda è superiore al costo effettivo della Cassa per la collettività: il resto ce lo rimettono i dipendenti in cassa integrazione, i quali percepiscono un’indennità nettamente inferiore al loro salario o stipendio normale.”

Evviva la sincerità! Quanto costa la cassa integrazione alla collettività! Per i padroni si tratta naturalmente di numeri e solo numeri: la chiusura di Termini Imerese (circa 3000 operai compreso l'indotto), i 1450 licenziati in Polonia, ecc. ecc. I costi veri, quelli umani, per loro non esistono, al massimo sono un problema di ordine pubblico da appaltare alla polizia di Stato.
Ma i padroni fregano in tutti i modi gli operai anche con gli “eventi oggettivamente non evitabili” (e questi “eventi non evitabili” perché non valgono mai per gli operai?) e adesso lo si può dire anche apertamente! Ma non basta ancora perché il fascismo padronale alla Marchionne con tutto quel che ne consegue si estende a macchia d'olio anche ad altri paesi!

“L’importanza del meccanismo della cassa emerge anche da un confronto con quanto succede all’estero. A Tychy, in Polonia, il calo della produzione dopo il trasferimento della Panda a Pomigliano è sfociato nel taglio di un turno su tre e nel licenziamento di 1.450 operai nel mese di gennaio. E il governo polacco sta valutando – proprio sulla scia della preoccupazione per i licenziamenti Fiat – la possibile introduzione di strumenti simili alla cassa integrazione.

A questo punto l'indagine spiega perché è meglio non chiudere gli stabilimenti! Perché pure la chiusura costa!

“Tornando alla scelta sul destino degli stabilimenti, a fronte dei risparmi consentiti dalla cassa integrazione vi sono i costi di un’eventuale chiusura: anche volendo tralasciare le implicazioni sociali [!!!], infatti, fermare una fabbrica di automobili costa. Lo stesso Marchionne, nella presentazione agli analisti citata all'inizio, quantifica in 600 milioni di euro la spesa per chiudere uno stabilimento con 5mila dipendenti, ovvero delle dimensioni di Mirafiori o Melfi. I casi di chiusure di questi anni – da Opel a Ford – confermano sostanzialmente questi ordini di grandezza. Per fare un esempio, la General Motors (casamadre della Opel) ha registrato nei bilanci 2010 e 2011 costi per 1,1 miliardi di dollari (circa 850 milioni di euro) per la chiusura dell'impianto di Anversa (2.500 dipendenti) ed altri tagli all'organico in Europa. Si tratta in generale di costi immediati, che comportano un'uscita di cassa (e che nel caso di Fiat andrebbero a pesare su un debito del gruppo già elevato). Il processo di chiusura comporterebbe – sempre citando Marchionne – un risparmio sui costi di funzionamento di soli 100 milioni di euro l'anno. La spesa, quindi, si ripagherebbe in non meno di sei anni. Senza contare altri effetti negativi, che Marchionne ricorda: dai possibili scioperi all'impatto negativo sulla quota di mercato di Fiat in Italia.

“Chiudere stabilimenti, insomma, economicamente non conviene. La scommessa, a questo punto, è di rilanciare la produzione per arrivare - secondo quanto ribadito da Marchionne anche giovedì a Firenze – al pieno impiego in tre/quattro anni.”


E queste sono le fesserie col botto finale di Marchionne, da un lato perché secondo questa logica non era necessario chiudere lo stabilimento di Termini Imerese (ma questo lo hanno permesso coloro che gli tengono bordone come i sindacati confederali e i vari governi) e dall'altro perché non si vede luce di ripresa del “mercato”.

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