mercoledì 29 maggio 2013

pc 29 maggio - Bologna Piazza verdi ..gli studenti sgomberano la polizia


"Una disfatta, una resa umiliante, una pagina nera. L’umore dei poliziotti del reparto mobile, arrivati la scorsa settimana a un passo dall’ammutinamento dopo il rifiuto di prestare servizio in piazza Verdi, è quello dei giorni peggiori" e poi sempre dal Corriere di Bologna: “Dietrofront. La forza dovrà essere l’extrema ratio, da usare solo in caso di atti violenti. Altrimenti ci si limiterà a identificazioni e denunce, nell’eventualità di violazioni dell’ordinanza comunale. Il pugno duro, invocato dal sindaco Merola dopo i primi scontri in zona universitaria, potrà essere sfoderato solo quando la situazione lo richiederà davvero. Insomma, non basterà una riunione in piazza con i megafoni a far muovere gli agenti in tenuta anti-sommossa. Il Comune dovrà ammorbidire la sua linea, perché la situazione non degeneri”. Si incrina così, anche con una decisa profondità, il sistema di potere cittadino ai tempi della disfatta nazionale del Partito Democratico. Tutte le autorità di Bologna avevano convenuto l'allestimento della forca caudina di Piazza Verdi. Nel loro progetto, la morsa di carabinieri e polizia che avrebbero stretto gli studenti diretti verso l'assemblea, doveva essere il simbolo politico della conquista della piazza e della neutralizzazione pubblica dei movimenti. Ma la tattica della forca caudina gli si è rovesciata contro. E a che prezzo! Dopo la sonora bastonata del referendum contro i finanziamenti alle scuole private, e la promessa non mantenuta di “colpire con metodo quelli di piazza Verdi”, il PD e il suo sindaco, tacciono, basiti, mentre scoprono che gli effetti della crisi iniziano a salir su, organizzati nei percorsi politici antagonisti, facendo tremare la terra sotto i loro piedi. Oggi nella cronaca locale parlano solo i poliziotti, tra il vittimismo e il realismo di chi è “la funzione ultima” della catena di comando (“ci hanno mandato a impedire l'assemblea in una piazza universitaria, ma come si può?”), il questore e il pm di turno che promettono denunce “ma ci vorrà del tempo, non è un'operazione facile”, e il prefetto che dice che le istituzioni hanno vinto perché non hanno usato “il bazooka”! Ma...!?
Intanto il VII reparto mobile verrà tenuto lontano a sbollire, mentre si annuncia che carabinieri e polizia non presidieranno più la zona universitaria, ma al massimo agenti in borghese semineranno qualche denuncia qua e là. Ma a chi e a che cosa? Lunedì scorso infatti a conquistarsi il diritto di prendersi la piazza a spinta, c'era una variegata composizione studentesca e precaria che con spontaneità organizzata si è resa indisponibile ad accettare il sopruso, e soprattutto ha mostrato di riconoscersi politicamente nel proprio territorio. Ha saputo compattarsi, libera dai tappi dei professionisti delle mediazioni, e ha spinto in avanti, facendo in modo che la controparte fosse talmente compatta nelle sue contraddizioni al punto di non reggerle e scappare a gambe levate. E' questa dinamica che ci interessa considerare oggi: l'uso degli effetti della crisi economica e istituzionale da parte nostra, antagonista. La fuga della celere da Piazza Verdi di Bologna può essere un piccolo esempio di come le governance territoriali possano saltare grazie a quella capacità nel “fare autonomia”, e non rappresentazione del conflitto, che si radica con decisione e pazienza nei territori, e poi sa dare lo sviluppo politico alle spontaneità dei soggetti sociali insieme a cui lotta giorno e notte. Non devono interessarci le celebrazioni di Piazza Verdi Liberata, ma al contrario deve attirare l'attenzione quel saper stare dentro ai processi di soggettivazione, quel produrre ipotesi collettiva di lotta che in queste giornate di iniziativa è emersa come capacità determinante. L'umiliazione e il sopruso che le autorità avevano voluto imporre alla piazza di lunedì, non era un caso isolato, ed è certo che in futuro le ritenteranno. Ciò che questa volta ha funzionato, al contrario di qualche narciso “evento” di tempo fa, è che, non solo i militanti del collettivo universitario autonomo avevano riconosciuto l'ingiustizia del gesto, ma tutta la composizione sociale che attraversa piazza Verdi e via Zamboni aveva percepito come inaccettabile la forca allestita dalle istituzioni. E a questo non ci si arriva per caso, ma è un nodo di forza politica che si conquista con metodo e presenza nel territorio.
Le cariche si sono scaraventate con violenza su una massa di centinaia di precari e studenti incordonati e a mani nude, che hanno resistito senza retrocedere, e poi hanno spinto insieme al momento giusto, gridando collettivamente “assemblea!”. E non si creda che non ci siano braccia, e dita rotte, occhi pesti, zigomi fratturati, e contusioni più o meno gravi tra i manifestanti, se sui giornali non si è data la battaglia dei feriti tra celere e manifestanti. Le ossa rotte e i visi tumefatti ci sono e come, ma è stata una decisione collettiva il non far cadere nella retorica della vittima, una piccola e importante vittoria conquistata dalla piazza antagonista bolognese, coerentemente al sentimento comune dell'andare avanti ben sapendo il prezzo che si sarebbe pagato. Dopo le barricate e la resistenza della scorsa settimana era certo che questa volta la spinta intransigente avrebbe fatto il passo in avanti davanti alla provocazione, e così è stato.
Un passo avanti che sta costando caro al PD e ai poteri cittadini che all'orizzonte scorgono i primi effetti radicali della crisi economica e del sistema della rappresentanza nel territorio bolognese, politicizzati dalle capacità antagonista e da quel “fare autonomia” che accompagna e cammina insieme alle tante lotte diffuse nella città. Tra soli 3 giorni scenderanno in piazza anche i facchini per dare battaglia contro l'attacco istituzionale alle forme di lotte prodotte dai tanti scioperi nei grandi e piccoli magazzini della logistica, muscolo pulsante del modello produttivo locale e non solo. Ed è in queste giornate che emerge, per dirla in prosa, quanto il movimento antagonista a Bologna non abbia mai ceduto dal lavorare per avvicinare i propri obiettivi complessivi con determinazione e anche pazienza, ma anzi, si è considerevolmente avvicinato, ma non per una strada rettilinea, bensì con un movimento aggirante... i cui effetti hanno appena iniziato a farsi sentire.


Bologna: la polizia scappa da Piazza Verdi. Oggi si vince, per davvero!

la_fuga_di_piazza_verdiAlle 18h gli studenti e le studentesse dell'università di Bologna organizzati nel Collettivo Universitario Autonomo, come annunciato, da via Zamboni 38 megafono in mano si avvicinano verso piazza Verdi per allestire l'assemblea pubblica di analisi dei fatti di giovedì scorso. All'altezza di via Zamboni 32 trovano davanti a loro un primo schieramento di celerini e carabinieri, che insieme ai vigili dicono che non li lasceranno passare e che non possono accettare che entrino in piazza con il megafono.
Dopo poco la celere si schiera ad imbuto proponendo al gruppo di passarci in mezzo per raggiungere la piazza. Gli studenti che erano già aumentati di numero rifiutano con decisione l'umiliazione e il sopruso dal sapore cileno architettato dai dirigenti della piazza. E iniziano gli slogan: "assemblea, assemblea, assemblea!", "vergogna", "fuori gli sbirri da piazza Verdi!". Un compagno dal megafono grida: "è nostro diritto raggiungere la piazza per costruire all'assemblea che avevamo indetto. Non accettiamo di essere scrutati o di passare in mezzo alle forche caudine. Levatevi da qui che non siamo disposti a cedere alcuno dei nostri diritti". Intanto i primi cordoni si stringono.
"Assemblea, assemblea!", e gli studenti e solidali aumentano, chiamati dai social network che pubblicano cronache e foto di quanto sta accadendo. Passano decine di minuti e mentre arriva mezza questura in piazza Verdi con altri celerini schierati, il numero dei manifestanti aumenta. Le guardie non cedono, sono determinate a reprimere la piazza, ma in risposta la determinazione degli studenti e delle studentesse aumenta. I cordoni premono sui celerini, le prime manganellate colpiscono le teste, e le scudate si alzano per tagliare le braccia e i colli. Ma nessuno indietreggia. "Assemblea, assemblea!", e si spinge in avanti ancora, non curanti delle mazzate, "piazza Verdi è nostra!", e anche gli studenti che ai lati erano rimasti a guardare rispondono agli slogan e si avvicinano alle guardie, che fanno i primi passi indietro.
Ma le cariche, schizofreniche si ripetuno: due, tre, quattro, cinque. I manifestanti vanno avanti e i carabinieri e la celere indietreggiano, indietreggiano e poi di corsa si danno alla fuga: "carica!" grida la piazza, mentre le guardie in fuga raggiungono le camionette a Largo Respighi e vi si rifugiano. "Abbiamo vinto!", e questa volta per davvero! Inizia l'assemblea, numerosissimi interventi si succedono: il CUA, i compagni e le compagne di Hobo e molti studenti e solidali rilanciano subito con gli appuntamenti per domani.
La giornata di oggi con la messa in fuga della celere e la conquista di Piazza Verdi ci restituisce una significativa immagine di conflitto sociale che promette di avere le sue durate. Dopo gli eventi della scorsa settimana all'Unibo non si è fatto il passo indietro che le autorità cittadine si auguravano. Al contrario si sono fatti passi avanti che segnano la possibilità di organizzare antagonismo sociale e contrapposizione politica alla crisi.
La legittima rigidità degli studenti e delle studentesse di esercitare in maniera conflittuale il proprio diritto d'espressione politica ha messo in fuga le istituzioni dell'1%, che a piazza Verdi oggi non sono passate, e in futuro non passeranno, se non con grandi sforzi, e dovendo affrontare la gioiosa intransigenza dei compagni e delle compagne.

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