venerdì 24 maggio 2013

pc 24 maggio - nuovo attacco al patrimonio di padron riva per l'ILVA taranto - sequestrati oltre 8 miliardi di Euro! Ma proletari comunisti ha altro da aggiungere!





Il tesoro illegale dei Riva così hanno nascosto i soldi - martedì però vogliamo arricchire il quadro



Tre mesi fa, in pieno spirito "di collaborazione" con la Procura di Taranto. E' stato allora che, secondo il gip di Milano Fabrizio D'Arcangelo, i Riva da una parte incassavano la legge dal Governo e dall'altra cercavano di fare sparire, o comunque di rendere irreperibili, il miliardo e duecento milioni di euro che nel corso degli anni avrebbero sottratto dai conti dell'azienda per portarli all'estero. "C'è stato un tentativo da parte di Riva di modificare infatti la giurisdizione dei trust per effetto delle iniziative dell'autorità giudiziaria di Taranto". Un tentativo andato però male visto che mercoledì le Fiamme gialle di Milano sono riuscite a mettere le mani su tutto il capitale che i Riva avevano distratto dalle casse dell'Ilva, portate nelle isole del Canale tramite la Svizzera e il Lussemburgo, e poi fatte rientrare in Italia con lo scudo.

Un sistema di vera ingegneria finanziaria, che conferma come e quanto i Riva tenessero a porre i propri bene inattaccabili. L'idea di affidarle a un trust era proprio per rendere il patrimonio non aggredibile. Ma in questo caso, secondo il giudice, il trust era falso, "si trattava di un mero espediente per creare un diaframmma" che eludesse "le ragioni creditorie dei terzi, comprese quelle dell'Erario ". A supporto di questa teoria, il giudice cita il "patto di famiglia " siglato nel 2005 attraverso il quale i Riva si erano autoregolamentati per gestire l'azienda. Da un lato c'era un "capo indiscusso ", Emilio, che decideva "da solo sulle questioni di maggior rilevanza". Dall'altro il consiglio di famiglia, con divisione tra membri "attivi" con diritto di voto, membri "onorari" e "osservatori".

"Emilio Riva  -  scrive il Gip  -  rappresenta la persona che da sempre ha gestito le società facenti parte del gruppo Riva e che tuttora ne detiene il controllo. Infatti il capitale sociale del gruppo Riva Fire Spa (ndr, la cassaforte del gruppo) è detenuto da società che, sia direttamente che indirettamente (Carini Spa per il 25%, Stahlbridge srl per il 35,1% e Utia Sa per il 39,9%) sono controllate da Emilio Riva". Emilio "poteva decidere da solo sulle questioni di maggior rilevanza per le società, detenendo la maggioranza di voto su materie quali la nomina o revoca degli amministratori delle società del gruppo" e sulle "operazioni di particolare rilevanza (acquisto o vendita di partecipazioni o stabilimenti industriali) che, pur rientrando nei poteri degli amministratori delegati o dei consigli di amministrazione delle società del gruppo, venivano considerate di carattere strategico dai membri 'attivì del consiglio".

Dietro a Emilio, il resto della famiglia lavorava con un "patto di famiglia" che serviva ai Riva  -  scrive il giudice  -  "per concordare le modalità di gestione delle società del gruppo ed i relativi poteri decisori". Esistono così membri con diritto di voto (Fabio, Claudio, Nicola, Cesare ed Angelo), membri onorari con diritto di partecipare alle riunioni e di intervenire nella discussione (Emilio, Adriano e Laura Bottinelli) e 'osservatorè (Emilio Massimo) con diritto di partecipare alle riunioni e di intervenire nella discussione ma senza diritto di voto". Il patto stabilisce an-
che che se Emilio Riva affermava di voler votare in Consiglio, "qualora questo si fosse riunito per trattare e deliberare su determinate materie, tra le quali la politica dei dividendi e il piano di investimenti del gruppo, in tal caso allo stesso veniva attribuito un diritto di voto pari a 60 su 100".
la procura di Taranto rilancia -sequestro record da 8,1 miliardi ai Riva !

Ilva, sequestro record da 8,1 miliardi ai Riva
Il procuratore: "La fabbrica non si tocca"

Il provvedimento disposto dal tribunale di Taranto: sigilli al tesoro della società Riva Fire, ai guadagni dovuti ai mancati investimenti per ridurre l'inquinamento. L'accusa: associazione a delinquere finalizzata al disatro ambientale, indagato anche il presidente Ferrante


Sequestro da oltre otto miliardi di euro all'Ilva. I militari della guardia di Finanza di Taranto hanno avviato questa mattina il provvedimento di sequestro per equivalente disposto dal gip Patrizia Todisco su richiesta del pool guidato dal procuratore capo Franco Sebastio, titolare dell'inchiesta per disastro ambientale in cui è indagato anche il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante. La procura ha ottenuto il sequestro di beni riconducibili alla famiglia Riva e in particolare alla società Rivafire spa.

Il provvedimento si inquadra nell'indagine che ha messo sulla graticola la grande fabbrica per l'inquinamento killer sprigionato dagli impianti delle acciaierie sulla città. Il sequestro record è scaturito proprio dal mancato risanamento dei reparti dell'area a caldo, indicati come la fonte dei veleni industriali ritenuti causa di malattia e morte. In pratica i consulenti dei pubblici ministeri hanno quantificato la somma che Ilva avrebbe dovuto investire negli anni per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica.
Gli investimenti non eseguiti si sono tradotti in un guadagno perla proprietà ritenuto però fonte di reato. Di qui i sigilli per un valore di otto miliardi e centomila euro. L'inchiesta per disastro ambientale è scattata nel luglio dello scorso anno con l'arresto di Emilio Riva, l'anziano patron dell'Ilva, finito ai domiciliari, e il contestuale sequestro degli impianti inquinanti. Da allora l'inchiesta ha fatto registrare numerose e violente sterzate. A novembre scorso un altro blitz della Finanza ha portato in carcere alcuni dirigenti, ma alla retata sfuggì Fabio Riva, figlio di Emilio, attualmente latitante a Londra. Solo due giorni fa la procura di Milano aveva disposto il sequestro preventivo di circa 1,2 miliardi a carico di Emilio e Adriano Riva per truffa allo Stato.Oggi il nuovo colpo di scena con il sequestro record."Il sequestro - ha spiegato il procuratore Sebastio - riguarda solo in merito ai beni della società Riva Fire. Abbiamo tenuto conto della legge 231 (legge salva Ilva, ndr), e dunque il sequestro non colpisce i beni dell'Ilva. E questo provvedimento non intacca la produzione dello stabilimento. La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica". "La produzione non si tocca - ha sottolineato Sebastio, che ha aggiunto: "Si tratta  di un sequestro preventivo per equivalente sulla base della legge 231 del 2001 sulla responsabilità giuridica delle imprese"  che dal 2011 contempla anche i reati ambientali.

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