martedì 16 aprile 2013

pc 16 aprile - CRONACA DI UN PROCESSO NO TAV - la sentenza, il 3 maggio prossimo

CRONACA DI UN PROCESSO NO TAV

1263897783295_010db336-4b559d5f93ebdSta per terminare il primo dei processi contro i NO TAV riferiti ai fatti del 2010. In quell’anno venivano effettuati i sondaggi geognostici lungo il futuro percorso della Torino Lione ed il movimento NO TAV era in costante mobilitazione per informare la popolazione dell’inutilità e dei costi esorbitanti di questi lavori “truffa” propedeutici al TAV. In particolare questo processo è riferito al sondaggio S66 effettuato in località San Giuliano di Susa su un terrapieno vicino all’autoporto. Lo svolgimento del processo rende palese l’accanimento della procura di Torino nei confronti di imputati appartenenti al movimento NO TAV. Lo stesso processo infatti è costruito su prove inconsistenti ed è sconcertante che presunti colpevoli di fatti in sè “poco gravi” come definiti dallo stesso Pubblico Ministero dell’accusa Giuseppe Ferrando rischino la reclusione. I fatti di quel giorno. Gli attivisti NO TAV, dopo un’assemblea molto partecipata al presidio permanente di Susa, decidono di fare un corteo rumoroso in direzione della frazione di San Giuliano di Susa per informare gli abitanti della frazione del sondaggio in corso, facendo un percorso che parte dal presidio di Susa e aggira simbolicamente la trivella. In circa 300 persone partono con striscioni e bandiere e vari “strumenti”(pezzi di legno, aste) in mano per effettuare una “battitura” del guardrail in modo da farsi sentire. Sottolineo che la battitura era in quel periodo una pratica di carattere folcloristico senza scopi violenti, usata in molte altre precedenti occasioni dal movimento NO TAV. La trivella in questione è posta in un luogo difficilmente accessibile, su un terrapieno a una decina di metri d’altezza a sua volta circondato da una rete molto alta, ma nella zona vi è comunque una massiccia presenza di forze dell’ordine a protezione dei lavori di sondaggio: la polizia circonda la trivella e un cordone di agenti è schierato a sbarrare la strada che costituisce l’unico accesso possibile all’area del sondaggio. Il corteo dei manifestanti non imbocca la strada bloccata dalle forze dell’ordine e il cordone di polizia si sposta velocemente per tentare di fermare il percorso dei manifestanti; quando il corteo sopraggiunge tenta di respingerlo con una improvvisata e scomposta carica facendo uso dei manganelli contro i manifestanti. Lo scontro dura una manciata di secondi, due manifestanti hanno ferite sanguinanti alla testa ed altri vengono buttati a terra, incluso un ragazzo disabile. Subito dopo viene accordata l’autorizzazione a proseguire la manifestazione e il corteo prosegue tranquillamente verso San Giuliano facendo il giro attorno alla trivella come era nelle intenzioni. Otto manifestanti vengono in seguito accusati di violenza e minaccia nei confronti degli agenti di polizia perpetrati “per costringere gli stessi ad omettere un loro atto d’ufficio cioè impedire che i manifestanti raggiungano il sito S66 ove erano in corso sondaggi geognostici”,in concorso tra loro e con l’aggravante di aver commesso reato in più di 10. La realtà è che la polizia ha omesso da sè l’atto d’ufficio nel momento in cui si è spostata lasciando accessibile l’unica strada che permette di raggiungere la trivella. L’accusa si basa su un filmato della scientifica in cui nessuno degli imputati si vede commettere il reato di cui è accusato ma si vede chiaramente la carica con uso di manganelli da parte della polizia che si scaglia contro i manifestanti. Lo scontro dura in tutto 23 secondi. Dei sei testimoni dell’accusa tre dicono di essere arrivati dopo il momento dello scontro e la loro testimonianza è basata sul filmato e su ciò che hanno sentito dire o intuito. La maggior parte degli stessi testimoni fa affermazioni che vengono smentite dalle immagini del video: inesistenti lanci di oggetti prima dello scontro, poliziotti che arretrano davanti ai manifestanti, manifestanti che non passano in corteo dopo lo scontro. Fusco della Digos è arrivato dopo e non vede bene perchè è dietro ma ricorda anche male quello che ha visto dopo perchè afferma che il corteo è poi tornato indietro. Dice che non c’è stata una battitura mentre video e tutte le altre testimonianza dimostrano l’opposto. Raimondi della Digos non è presente al momento dello scontro e commenta tendenziosamente le immagini del video facendo un processo alle intenzioni degli imputati e traendo conclusioni del tutto arbitrarie sul loro comportamento. Anch’egli è sicuro che il corteo non è poi proseguito. La dirigente della polizia Seri che è a capo delle operazioni in quel momento ammette di aver dato l’ordine di respingere i manifestanti ma l’ordine è stato dato solo dopo che era già partita una carica scomposta e improvvisata. Dice poi che tra la posizione laterale, il buio e la neve non ha visto nulla. Non è neppure sicura che gli scudi siano stati rotti nel corpo a corpo ma le è stato riferito da altri che potrebbero essere stati rotti da lanci di bastoni. Ammette che nessuno dei manifestanti ha aggredito fisicamente la polizia o ha tentato uno sfondamento. I reperti della polizia scientifica sono due scudi di plastica rotti, che non si sa da quali agenti fossero portati, una fiaccola e qualche bastone. Il comandante del reparto mobile di Firenze schierato in quell’occasione, dichiara: “gli scudi si rompono quasi sempre, siamo abituati, sono di plastica”. Anche lui è un testimone non presente al momento dello scontro.
Risultano due poliziotti colpiti alla spalla con ben sette giorni di prognosi che dicono di non ricordare nulla tantomeno chi e come li ha colpiti. Uno dei due, Bernardini, non si ricorda neppure dov’era posizionato e non ha visto nulla perchè aveva la visiera del casco appannato. E’ sicuro di essere stato colpito alla spalla destra ma sul certificato medico, redatto tra l’altro il giorno successivo allo scontro, è indicata la spalla sinistra. Anch’egli è sicuro degli inesistenti lanci di oggetti prima della carica. In sostanza lo scontro è ricostruito dall’accusa in base a presupposti e non a fatti concreti ed è chiaro che gli imputati sono ritenuti presunti colpevoli fino a prova contraria e non viceversa. L’arringa del Pubblico Ministero è una degna conclusione: ammette che i fatti di violenza successi sono “poco gravi” e sono durati pochi secondi: però sono avvenuti nel contesto di una manifestazione non autorizzata, che sembra essere il “reato” più grave commesso quel giorno: peccato che non c’entri nulla con capi d’accusa degli imputati e soprattutto non sia un reato. In ogni caso il PM sottolinea che la manifestazione non autorizzata “ha frontalmente sfidato l’autorità in modo programmato” e parla più volte di uso legittimo delle ARMI da parte delle forze dell’ordine. “Chi partecipa ad una manifestazione non autorizzata deve mettere in conto che può prendersi delle manganellate: lo Stato è legittimato a colpire ma i manifestanti non sono legittimati a difendersi”. Possono solo legittimamente prendersele. In sostanza il PM cerca di giustificare comportamento della polizia più che avvallare i reati degli imputati. Il PM parla poi di persone travisate ed armate di bastoni che costituivano una minaccia. Il corteo era assolutamente pacifico. Molte persone nel corteo avevano in mano bastoni per la battitura ed avevano sciarpe e cappelli in quanto era inverno e nevicava. Degli otto imputati invece solo uno aveva una sciarpa che copriva parzialmente il volto mentre tutti gli altri erano a volto scoperto e la metà degli imputati erano a mani nude. In base a cosa allora sono stati SCELTI – perchè sono stati scelti – gli imputati, visto che i tafferugli hanno coinvolto ben più di otto manifestanti? Per la loro posizione nel corteo? Per la loro posizione ideologica? Alla fine Ferrando propone per sette imputati una pena che va dai dieci mesi di reclusione per Massimo Aghemo, Marco Bailone e Fabrizio Berardinelli, un anno per Luca Abbà e Andrea Bonadonna, un anno e un mese per Paolo Patanè, un anno e tre mesi per Maurizio Mura. Per l’ottavo, Stefano Milanesi, non se la sente neppure di formulare un’accusa perchè dal filmato si vede che sta tranquillamente fumando al momento dello scontro. Le arringhe degli avvocati sono puntuali nello smontare le tesi dell’accusa. Gli avvocati della difesa paventano che si possa tirare in ballo il concorso morale per accusare anche Stefano Milanesi; in questo caso allora tutte le trecento persone del corteo sarebbero colpevoli di concorso morale allo stesso modo, per il semplice fatto di esserci. Ma la mera presenza e addirittura la consapevolezza che altri stiano per compiere reato non costituisce concorso. E il non impedire un reato non costituisce reato. Il concorso deve essere provato: va dimostrato che l’ imputato contribuisce alla finalità del reato, ci deve essere rapporto di causalità fra le azioni dell’ imputato e finalità del reato commesso . Resta da capire perché il cordone di polizia si è spostato quando l’unica via per raggiungere la trivella è quella bloccata dal primo schieramento delle forze dell’ordine. Perché viene bloccata la manifestazione su un percorso già effettuato senza problemi altre volte? L’ordinanza della questura parla di controllo e protezione della trivella e dice esattamente dove si devono posizionare le forze dell’ordine, cosa che era in atto con il primo schieramento. Se veramente si temeva che il corteo potesse arrivare alla trivella dal percorso che stava effettuando perché è stato lasciato passare? L’ordinanza del questore non crea allarmismi né clima di tensione e non fa riferimento a pregressi scontri. Il questore dice che ci sono state manifestazioni precedenti ed invita le forze dell’ordine a dialogare e consentire la libertà di espressione, evitando lo scontro. Prevede che ci sarà una manifestazione ed è a conoscenza del fatto che non è stata comunicata perché l’ordinanza stessa è del giorno precedente ai fatti.
La manifestazione è un diritto sancito dalla costituzione, non c’è bisogno di autorizzazione ma solamente di una comunicazione alle autorità, ed è obbligatoria solo in caso di interruzione di pubblico servizio. In ogni caso la mancanza di preavviso non significa che è illegittima e che si commette un reato. Gli avvocati sottolineano che l’ordine di respingere i manifestanti è arrivato dopo lo scontro. Non c’è stato un ordine di carica né un’intimazione di arretrare ai manifestanti; c’è stato invece un comportamento arbitrario di alcuni poliziotti che hanno dato il via ad un attacco improvviso con scudi e manganelli: in questo caso è legittimo che i manifestanti resistano e si difendano. Un’ultima “chicca”: l’aggravante del reato è che è stato commesso da più di dieci persone. Gli imputati sono otto: che fine hanno fatto gli altri tre?? Aspettiamo la sentenza, il 3 maggio prossimo. Sono sicura che tutti gli imputati verranno assolti per non aver commesso il fatto e potremo festeggiare un’altra vittoria del movimento NO TAV.
Cristina Abba

Nessun commento:

Posta un commento