mercoledì 30 gennaio 2013

pc 30 gennaio - i braccianti della grande lotta di Nardò aspettano giustizia e diritti





Braccianti sfruttati nei campi a processo "i signorotti" della terraPer la prima volta in Italia davanti a un tribunale si contesta il reato di 'caporalato', introdotto nel codice penale nell'estate del 2011, dopo la rivolta dei migranti che hanno avuto il coraggio di denunciare anche gli imprenditori agricoli per cui lavoravano in condizioni disumane
A un anno e mezzo dalla sua introduzione arriva per il reato di caporalato la prova del dibattimento. Davanti alla Corte d'assise di Lecce si apre il 31 gennaio il processo a sette imprenditori salentini e nove complici africani, accusati di avere sfruttato decine di braccianti extracomunitari e di averne organizzato l'arrivo illegale dall'Africa, che, per la prima volta in Italia, consentirà di testare la tenuta processuale dell'articolo 603 bis introdotto nel Codice penale con la legge 148/2011. Una verifica importante per le norme che mirano a punire penalmente il lavoro irregolare diffuso in tutte le regioni e molto utilizzato dalle imprese agricole meridionali, da Rosarno a Castel Volturno, da Pachino a Foggia, passando per Palazzo San Gervasio e arrivando a Nardò.
Nelle campagne a pochi chilometri da Lecce, secondo la Procura Antimafia, per anni è stato attuato uno sfruttamento organizzato e sistematico di lavoratori extracomunitari, fatti arrivare apposta dai Paesi africani. A far emergere l'inferno vissuto ogni estate tra i filari di angurie e pomodori di Nardò furono servizi di osservazione e intercettazione del Ros dei carabinieri ma anche le denunce dei lavoratori, che si spaccavano la schiena per dodici ore al giorno, finendo a dormire in casolari fatiscenti o sotto gli ulivi.
Solo quattro di loro per ora hanno avuto il coraggio di costituirsi parte civile, capeggiati da Yvan Sagnet, lo studente camerunense del Politecnico di Torino che nell'estate 2011 fu leader della rivolta dei braccianti Le indagini del pm Elsa Valeria Mignone hanno portato alla luce l'esistenza di un cartello tra imprenditori locali, trafficanti di uomini e caporali, finalizzato a ottenere il massimo guadagno dai campi di angurie e pomodori con il minimo sforzo. Ovvero con lo sfruttamento dei lavoratori che si è concretizzato nella loro riduzione in schiavitù.
Proprio sulla contestazione di tela reato (ipotizzato insieme all'associazione a delinquere, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, caporalato e estorsione) si è giocato il braccio di ferro tra la Procura e il Tribunale del Riesame, che ha annullato quella parte dell'imputazione che a maggio aveva portato in carcere 22 esponenti del sodalizio criminale. All'esito delle indagini preliminari, il pm ha contestato nuovamente la riduzione in schiavitù (ritenendo provato "lo stato di necessità e di inferiorità  fisica e psicologica degli extracomunitari, vulnerabili perché immigrati clandestinamente, spinti dall'indigenza, ingannati dalla promessa di lavoro sicuro e regolare, oberati dai debiti contratti con l'organizzazione che ne avrebbe favorito l'ingresso, impossibilitati una volta preso coscienza del loro stato a fare rientro in patria per mancanza di mezzi finanziari, ancora più soggiogabili per la mancata conoscenza della lingua italiana e dei luoghi in cui si trovavano") e ottenuto ragione dal gup, che ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati giudicati a Lecce. In aula ci saranno dunque gli imprenditori salentini, a partire dal "re delle angurie" Pantaleo Latino considerato il capo e promotore del sodalizio, passando per Marcello Corvo, Livio Mandolfo, Corrado Manfredo, Giuseppe Mariano, Salvatore Pano e Giovanni Petrelli, e i loro presunti complici africani, che saranno protagonisti del primo processo per caporalato, nell'ambito del quale si è costituita parte civile la Regione Puglia ma non il Comune di Nardò, nonché la Cgil e l'associazione Finis Terrae che gestiva la masseria Boncuri. L'accusa di caporalato viene contestata sia agli italiani che agli stranieri, essendo  -  secondo gli inquirenti  -  operativa un'organizzazione, che curava i viaggi della speranza dall'Africa, i trasferimenti in Salento, il reclutamento nelle aziende agricole tramite le squadre composte e dirette dai caporali veri e propri, lo sfruttamento quotidiano dei braccianti, a cui venivano corrisposte paghe inferiori a quelle previste dai contratti di settore, con l'estorsione di soldi per cibo, acqua e alloggio.Pesanti le pene che gli imputati rischiano già solo per l'eventuale condanna per l'articolo 603 bis: reclusione da 5 a 8 anni, multe da 1.000 a 2.000 euro per ogni lavoratore reclutato, nonché interdizione dagli uffici direttivi delle imprese, divieto di concludere contratti di appalto, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti. Inoltre l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici e dell'Unione Europea per un periodo di 2 anni.

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