domenica 13 gennaio 2013

pc 13 gennaio - una denuncia dei kurdi sull'uccisione delle tre attiviste a parigi

 



Erdelan Baran è il presidente dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki Onlus) e membro del Comitato Affari Esteri del Congresso Nazionale del Kurdistan (Knk) con sede a Bruxelles.
Gli abbiamo posto alcune domande sul triplice omicidio parigino di militanti kurde e sulle prospettive delle trattative in atto fra esponenti del Mıt (l’Intelligence turca) e Abdullah Öcalan.


Signor Baran, chi è stato?
Coloro che hanno compiuto quest’attacco sono assassini molto professionali e ben allenati.

Professionisti che uccidono con armi dotate di silenziatore, colpendo alla nuca...
Esattamente. Noi crediamo che a progettare e coordinare gli omicidi sia stata una Gladio all´interno della Turchia, l’ha fatto ora che il popolo kurdo si sta avvicinando a un successo. Il movimento femminile rappresenta uno degli ambiti più delicati per la liberazione del Kurdistan e anche una speranza per il nostro futuro. Tutti devono sapere che dal 1990 al 2000 questa Gladio ha ucciso 17.000 civili.

Una Gladio che fa parte del cosiddetto “Stato profondo”?
Il messaggio che lo “Stato profondo” turco lancia è chiaro: assassineremo ogni vostra speranza, non importa dove siete. Penso a Erdoğan che qualche settimana fa diceva: “Vi arresteremo ovunque vi troviate”.

Dunque secondo voi la Gladio vive nell’attuale Mıt e in altri organismi...
Dagli anni Novanta sappiamo quale profilo ha lo “Stato profondo”: hanno una sezione segreta dentro il Mıt, una all´interno del governo (non importa quale governo), hanno una sezione segreta nell´esercito che può eseguire operazioni oscure specializzate. Un’altra sezione opera fra i media, manipola le informazioni ed effettua propaganda contro le opinioni democratiche. Simili notizie non devono suonare come una teoria del complotto, derivano da persone che hanno lavorato per lo “Stato profondo”. Gladio non opera solo all´interno della Turchia, è attiva anche oltreconfine. Ha molte squadre di ‘contra’ in Siria e crediamo che una di queste abbia compiuto l’omicidio in Francia.

Taluni esperti di terrorismo lanciano anche l’ipotesi del conflitto interno al Pkk...
Vorrei ricordare all´opinione pubblica che questo è il tipico argomento utilizzato dai media turchi, corrotti dal proprio governo, per spostare l´attenzione dalla realtà. Chi ha scritto la verità e racconta fatti concreti attualmente è nelle carceri turche, accusato anche lui di terrorismo. Secondo Reporters sens frontières la Turchia è la più grande prigione al mondo per i giornalisti. Ascoltiamo quotidianamente una propaganda negativa contro i kurdi e contro i movimenti democratici che li sostengono.

E’ stato ricordato anche un dissidio fra Sakine Cansiz e uno dei capi militari del partito: Bahoz Erdal. Solo una congettura?
Dico soltanto che Sakine Cansiz era una speranza che arrivava dal passato, era co-fondatrice del Pkk. Fidan Doğan era una speranza del presente in quanto membro del Comitato Affari Esteri del Knk, mentre la giovane attivista Leyla era una speranza per il futuro. Ecco perché sono state scelte queste donne.

Chi batte questa pista ritiene che la possibilità d’un accordo col governo turco, col trasferimento in Europa di molti quadri militanti del Pkk, indebolirebbe certi finanziamenti dell’organizzazione basati sul contrabbando nelle zone di confine irachena e iraniana...
Le notizie che parlano di contrabbando, droga, conflitti interni al movimento sono le più grandi menzogne che continuano a essere pubblicate da anni. Noi pensiamo che coloro che scrivono queste notizie non credono essi stessi a quel che dicono. L´opinione pubblica turca è stanca di sentire sempre la stessa musica perché non riflette la realtà che si può osservare in tutte le zone del Kurdistan. Abbiamo bisogno di chiederci quali sono i media “etici” quando in Turchia non c´è libertà d´espressione.

Cosa può dire del nuovo disegno secessionista perseguito dai guerriglieri irriducibili che coinvolgerebbe le componenti kurde siriana e irachena colpite dagli sconvolgimenti nei Paesi dove attualmente vivono
La prospettiva di tutti i membri del Pkk e dei numerosi sostenitori è semplicemente la soluzione esposta da Abdullah Öcalan: il Confederalismo democratico. L´idea consiste nel non separare te stesso dagli altri ma vivere insieme, in un´unità democratica composta da popolazioni diverse all´interno del Kurdistan e anche in tutto il Medio Oriente. In precedenza tali popoli vivevano in questo modo, il cambiamento è sopraggiunto come un’imposizione assieme a una mentalità da Stato centralizzato che ha tracciato confini e separazioni. Questi concetti sono espressi nella Road map che Öcalan ha scritto in carcere per offrire un’uscita dal conflitto.

L’ipotesi di porre fine al conflitto armato sarà possibile e vantaggiosa per i kurdi?
I kurdi non sono riconosciuti come popolo in nessuna Costituzione. Neanche i genocidi commessi in passato contro di loro sono stati riconosciuti da nessun Paese e neppure dalle Nazioni Unite. La lotta armata è uno strumento di difesa che i kurdi utilizzano perché hanno bisogno di difendere se stessi dagli attacchi esterni. Non si tratta semplicemente di deporre le armi: finché non saranno create condizioni democratiche nella Costituzione e finché la volontà del nostro popolo non verrà riconosciuta in un negoziato i kurdi continueranno ad auto-difendersi. Prima di parlare di pace devi riconoscere la persona che hai di fronte.

Se arriverà un accordo col governo Erdoğan cosa otterrà la vostra gente in Turchia?
Rovesciamo la domanda: cosa otterrà il popolo turco in Turchia? Se i negoziati per la pace non iniziassero la popolazione turca perderebbe una parte di se stessa. I due popoli vivono insieme da secoli e insieme hanno creato la Repubblica turca. I turchi guadagnerebbero da tutto ciò qualcosa in più. I kurdi non hanno nulla da perdere perché se il governo non dovesse rispondere alla soluzione democratica che Abdullah Öcalan propone con la Road map si autodeterminerebbero in qualche modo. Dobbiamo ricordare che a tutt’oggi il governo non ha messo in tavola nessun progetto per cercare soluzioni, ha solo utilizzato milioni di dollari nell´industria bellica. Le operazioni militari non sono né un passo né un segnale con cui la Turchia può dimostrare di voler risolvere il problema in maniera democratica. E allora: cosa perderebbero i turchi se la questione non fosse risolta?


Enrico Campofreda, 13 gennaio 2013

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