sabato 11 agosto 2012

pc 11 agosto - ILVA NOTIZIARIO N.3

NOTIZIARIO ILVA 3 - 10-11.8.12

IN FABBRICA

La sentenza del riesame è stata accolta in fabbrica con un misto di parziale sollievo e di diffidenza. Il parziale sollievo è dato dal fatto che essa secondo le notizie finora conosciute – non sono però uscite ancora le motivazioni del dispositivo del riesame – scongiurerebbe l’ipotesi della chiusura dell’Ilva per indirizzare verso il risanamento degli impianti; dall’altro però c’è diffidenza circa l’effettiva volontà di Riva di andare in questa direzione, diffidenza circa gli effetti che potranno esserci comunque sul piano della continuità lavorativa, e – qui condiviso anche dall’ala operaia e popolare più preoccupata per gli effetti sull’ambiente - circa comunque le dimensioni di questa bonifica che sia in grado realmente di attaccare la gravità e profondità dei danni alla salute e all’ambiente che l’azione dei dirigenti dell’azienda prima e di Riva dopo ha prodotto.
E intorno a questi problemi che si muove ora tempestivamente l’azione dello Slai cobas per il sindacato di classe. Innanzitutto togliendo dubbi su un punto: affidarsi in fabbrica a Riva e fuori a Magistratura e a Istituzioni è una linea perdente e illusoria che non salverà né lavoro né salute.
Riva senza la lotta degli operai farà fatica ad ottemperare alle ordinanze, alle prescrizioni, egli vuole fare solo quello che permette di salvaguardare la continuità dei suoi profitti che, come tutti hanno detto e alcuni tardivamente scoperto, fanno dell’Ilva la fabbrica più grande del paese e il principale centro siderurgico d’Europa, con forti influenze sull’economia e sul sistema industriale italiano. Senza la lotta degli operai le dimensioni degli interventi in Ilva saranno di stampo ultraparziale, graduale e concertativo e quindi non in grado di raggiungere l’attuale obiettivo che dovrebbe essere comune tra operai e movimento popolare di fermare i danni alla salute e all’ambiente – teniamo anche conto che già sul piano degli interventi di “messa a norma” vi è di fatto un contrasto che vede da un lato Riva/Governo e Istituzioni locali, in primis Regione di Vendola che nel Tavolo Regionale hanno siglato un intesa che prevede piccoli e insignificanti interventi, prevalentemente di sistemi di controllo, e in larga parte già scritti in passato e non attuati da Riva, e dall’altro le prescrizioni della Magistratura più estese e radicali.
Senza la lotta degli operai fondi e sostegno dello Stato vogliono essere un’ancora di salvataggio per padron Riva piuttosto che quel radicale intervento che le lotte di queste giornate richiedono con forza. Senza la lotta, gli operai non avranno un ruolo di riferimento e direzione come classe di tutto il movimento di lotta della città.

Nell’incontro di questa settimana tra azienda e sindacati confederali questi sono tornati a svolgere il solito ruolo, quello di portavoce essenzialmente degli interessi di Riva. Il segretario della Fim Panarelli sembra parlare come Ferrante: “Si, l’Ilva si aspetta al più presto le motivazioni, perché da quello che scriveranno i giudici si comprenderà la direzione di marcia… Dall’interpretazione del dispositivo del riesame fornita dall’azienda non si evince la fermata degli impianti e quindi gli impianti dovrebbero continuare a marciare. D’altra parte i soldi devono pure venire fuori, un’azienda inattiva, che non produce non potrebbe reggere a lungo, se gli impianti non vanno spenti devono produrre. Ferrante ci ha chiesto di diffondere un messaggio di serenità…”.
E’ chiaro che con questa posizione ogni effetto del riesame sarà scaricato sugli operai, una riduzione della produzione viene giustificata a priori e di conseguenza lo sarà il ricorso alla cassintegrazione, che peraltro era già annunciata per effetto di alcune difficoltà sul mercato.
Anche in questo incontro, però, si è riproposto che, ove ci fosse come applicazione del dispositivo una interpretazione restrittiva, i sindacati convengono con Ferrante che lo stabilimento sarebbe comunque a rischio.

Lo Slai cobas per il sindacato di classe affronta gli stessi problemi e pone agli operai un altro approccio. Primo, la continuità della fabbrica che noi rivendichiamo è legata alla continuità dell’attività lavorativa degli operai al cui obiettivo occorre piegare i piani Ilva e la compatibilità tra i piani e l’indirizzo della sentenza volta al risanamento. E’ soprattutto necessario togliere ogni alibi all’azienda circa lo scarico sugli operai degli effetti della sentenza. Già nel giugno scorso lo Slai cobas denunciava l’accordo segreto già esistente tra operai e sindacati circa una nuova cassintegrazione per 2.900 operai, rinviata a luglio e poi entrata nel vortice della situazione attuale. Già nella precedente fase della crisi 2008/2009 l’Ilva teneva bene sul mercato, ciononostante è stata fatta e autorizzata una cassintegrazione ordinaria prima e straordinaria dopo per migliaia di lavoratori. Riva cavalcava la crisi, gonfiandone effetti per aumentare i numeri dei cassintegrati ben oltre le necessità. La cosa è stata così evidente che l’azienda non è riuscita neanche a farla integralmente questa cassintegrazione, gli operai in cig sono risultati alla fine meno di quelli richiesti inizialmente dall’azienda e la stessa cassintegrazione ha trovato poi una sostanziale sospensione. Aveva quindi ragione lo Slai cobas per opporsi ad essa e chiederne un netto ridimensionamento. Ma la cig richiesta aveva anche un altro scopo, da sempre utilizzato in Ilva, di pressione ricatto verso gli operai per mantenerli ben saldi sotto il controllo dell’azienda per il tramite dei sindacati confederali, collaborazionisti, collusi e in parte anche venduti. Anche su questa base che vi sono state le aperture dell’Ilva sul problema del cambio tuta con concessioni volte a dare un po’ di soldi ai lavoratori in cambio di un diritto rubato e svenduto. E’ in questa fase che circa 1000 operai si sono schierati con lo Slai cobas per il sindacato di classe e una parte di essi si è organizzata nello Slai cobas, compresi alcuni attivisti ex Fiom noti anche nelle vicende di questi giorni. Così lo Slai cobas ha potuto prendere corpo e forza in seno alla fabbrica divenendo un pericolo reale per l’azienda a cui l’Ilva ha reagito non riconoscendo le deleghe, perseguitando alcuni lavoratori iscritti, creando un clima di alleanza infame con dirigenti sindacali e delegati confederali per impedire che questo pericolo reale si trasformasse in lotta e in rovesciamento dei rapporti di forza in seno alla fabbrica.
L’esplosione della vicenda ambientale è servita all’azienda a ricompattare, di fronte al pericolo della chiusura, gli operai intorno al suo sostegno e ridimensionare anche l’influenza crescente dello Slai cobas.
Della pressione repressiva aziendale e dell’emergenza chiusura fabbrica sono state vittime anche alcune avanguardie che si erano avvicinate al cobas Ilva; questi operai/ex delegati hanno avuto timore che la mancata copertura sindacale ne potesse provocare il licenziamento, e quindi sono passate alla Fim sulla base di queste sole ragioni; salvo poi impegnarsi, alcuni in maniera decisa e totale, nel movimento ambientalista, visto anche come opportunità di ribellione ai diktat di Riva e di contestazione generale ai sindacati confederali.
Lo Slai cobas tiene duro e continua a ritenere che vada colta l’opportunità dell’attuale crisi per andare ben oltre la contestazione ambientalista e costruire il sindacato di classe e di massa fondato sui cobas, che può essere la vera arma vincente, capace di rafforzare il peso in fabbrica degli operai più coscienti e ribelli e guidare su posizioni di classe il movimento esterno popolare.

Una doppia lotta che in queste giornate viene nettamente alla luce. Come i sindacati confederali in fabbrica intorno alla continuità della produzione pro Riva cercano di riconquistare una credibilità perduta soprattutto contro il pericolo rappresentato dallo Slai cobas, così nel movimento esterno alla fabbrica, guidato in parte da un gruppo di operai protagonisti della contestazione del 2 agosto, tenta di mettere le grinfie l’ambientalismo borghese e piccolo borghese che vuole la fabbrica chiusa, gli operai assistiti, in uno scenario tipo Bagnoli, a cui danno manforte alcune “mosche cocchiere” presenti nell’area dei sindacati di base e del movimento cittadino, che del tutto estranei agli operai e alla fabbrica e spesso alla stessa popolazione dei quartieri, ora cavalcano la tigre della contestazione per togliervi il carattere di classe, e soprattutto minare il ruolo degli operai in quanto direzione di classe per ricondurli nell’area di innanzitutto di “cittadini che hanno a cuore l’ambiente, la salute e il futuro di Taranto”.
E’ del tutto chiaro che quest’area vede nello Slai cobas l’ostacolo alla sua azione. Quindi il discorso “siamo tutti cittadini”, “niente bandiere” è per far emergere l’unica bandiera quella del cittadino interclassista che non può che finire nella contrapposizione tra operai e città, tra salute e lavoro, e così via.
Questa linea si è organizzata dando vita al “Comitato lavoratori cittadini liberi e pensanti”, che anche nella sua sigla, non a caso, teorizza visibilmente questa concezione volutamente interclassista e di effettivo contrasto a discorsi e prassi di classe.
Nell’assemblea che il Comitato ha fatto l’8 agosto ai Tamburi – di cui parliamo in seguito – a fronte di una positiva ribellione degli abitanti del quartiere, gli interventi dei promotori del comitato, tra cui anche ex delegati Fiom Ilva, sono stati quelli più sbagliati: operai che dicono che loro parlano e si sentono soprattutto cittadini piuttosto che operai, e di fatto ora sono attivi fuori dalla fabbrica ma in fabbrica non fanno e propongono niente; operai che, dandosi la classica “zappa sui piedi” hanno detto che la l’Ilva può chiudere, che ci possono anche togliere il lavoro, che lo Stato deve espropriare e ridare l’economia in mano ai tarantini, come se Taranto fosse un isola socialista. Poi ci sono i movimentisti piccolo borghesi, camuffati da “cittadini”, tra cui il rappresentante del morto Cobas confederazione, uscito improvvisamente da anni di inattività, che gridano con una irresponsabilità demagogica che i cittadini dei quartieri devono andare a “bloccare l’Ilva, le portinerie!”, minando la ricerca di unità tra operai e popolazione dei quartieri che invece è stata espressa da vari altri interventi.
Una visione pericolosa e dannosa, a cui le avanguardie operaie sono chiamate a riflettere e ragionare, ad assumere un ruolo importante, di fronte ad un’opportunità anche storica di cambiare realmente le cose nella più grande fabbrica del paese e assumere un riferimento con influenza nella classe operaia a livello nazionale.

Chiaramente, però, questa battaglia ha riproposto in maniera clamorosa, attraverso una rivolta operaia e il movimento cottadino di contestazione i temi e le battaglie che lo Slai cobas per il sindacato di classe ha sviluppato e costruito, non solo su scala cittadina ma anche su scala nazionale. Prima tra tutte, la battaglia contro le morti bianche con la costruzione dell’associazione ‘12 giugno’ formata da familiari, operai Ilva attivi sulla sicurezza, ma anche tecnici, giuristi, intellettuali, artisti, da cui si è tratta ispirazione per la costruzione della Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro che attraverso due straordinarie campagne ha costruito due manifestazioni di classe e di massa, prima alla Thyssen e poi a Taranto il 18 aprile del 2008, che hanno fatto diventare effettivamente l’Ilva una questione nazionale, conosciuta e che ha attirato ben prima degli ambientalisti operatori dei mass media ed energie anche sul campo culturale – basti pensare alla spettacolo di Attricecontro “Se questo è un operaio, viaggio nell’inferno dell’Ilva”, all’importante documentario di Valentina D’Amico “La svolta”. E tutto questo non ha mai avuto come obiettivo quello di cancellare la fabbrica, bensì quello di elevare la coscienza di classe degli operai e stringere tutti intorno alla battaglia che si conduce in fabbrica, al fianco degli operai contro il sistema Riva, una delle forme del fascismo padronale ancor prima di Marchionne.

Lo Slai cobas intorno a battaglie quali quella sulla “palazzina Laf”, i processi contro le morti bianche, il caso “Nuova Siet” che riguardava il sistema di truffa ed estorsione negli appalti Ilva e non solo, aveva già colpito, sia pur principalmente nelle aule del Tribunale, Riva e incoraggiato i magistrati a fare con più decisione la loro parte. La definizione “Riva assassino” sui muri dell’Ilva, per la quale la dirigente dello Slai cobas è stata processata e assolta in un confronto/scontro diretto con padron Riva in persona, ha indicato la strada, per la quale vi sono ora condizioni migliori, purchè non se ne abbandoni l’orientamento di classe e di guerra al capitale.
Ora che l’Ilva è tornata in forma così evidente all’attenzione nazionale, tutte le realtà di classe del nostro paese sono chiamate a scendere in campo, cosa possibile solo se sanno distinguere l’apparenza dalla sostanza, l’autonomia operaia, l’organizzazione, la lotta di classe.

ASSEMBLEA POPOLARE AI TAMBURI

Il “Comitato lavoratori e cittadini liberi e pensanti” ha tenuto l’8 agosto, dopo una prima assemblea, una nuova assemblea in piazza ai Tamburi – il quartiere più vicino all’Ilva e più inquinato con un tasso di morti di tumore da record nazionale - di oltre 200 persone, dando così continuità alla contestazione del 2 agosto e anche una prima risposta alle 41 denunce con cui questura e sindacati confederali hanno risposto alla contestazione.
Operai Ilva, pensionati Ilva, giovani disoccupati, rappresentanti dei miticultori danneggiati dalla diossina, ma soprattutto donne del quartiere e anche di altre realtà che hanno raccontato in forme vive, molto commoventi quanto alto sia il prezzo di vite che si sta pagando per responsabilità dei padroni (privati e prima pubblici) del siderurgico e delle Istituzioni, dei politici e dei sindacati confederali, che si sono posti al loro servizio, fino a vendersi anche concretamente, come comincia ad emergere anche dall’inchiesta parallela sulla corruzione. Sono proprio le donne, insieme ai giovani, ad essere l’anima nuova di questa battaglia del quartiere con 18 mila abitanti e a 200 metri da uno dei settori più nocivi dell’Ilva: i parchi minerali. Le donne, prendendo coraggio anche dal loro dolore per i morti, le sofferenze, le preoccupazione dei figli - alcune parlavano in piazza per la prima volta – hanno fatto forti appelli a scendere in piazza tutti, ad alzare la testa e riprendere la dignità, perché indietro non si può tornare; dall’altra hanno posto con più nettezza il fatto che la battaglia per la salute e il lavoro devono andare insieme, che i lavoratori Ilva continuino a lavorare ma la fabbrica si deve mettere realmente a norma.
Questa chiarezza è necessaria a fronte di altri interventi e posizioni che in maniera superficiale e oggettivamente demagogica sostenevano che l’Ilva deve chiudere, che se si perde il lavoro basta poi “rimboccarsi le maniche”, che a Taranto vi sarebbero “tante possibilità di lavoro” se ci si libera delle fabbriche inquinanti, dei territori occupati dalla Marina, ecc.
I giovani, provenienti anche dall’area ultras, hanno dato linfa alla volontà di ribellione e rivolta che non tocca solo il problema di non volere una fabbrica produttrice di morte e inquinamento ma anche di volere una città libera dalla disoccupazione, precarietà, mancanza di futuro – a Taranto – ha detto un operai Ilva vi sono tante grandi aziende, ugualmente inquinanti (vedi Eni, Cementir, Evergreen, Marcegaglia, ecc.), ma c’è il 40% di disoccupazione.
Forte è stata anche la denuncia del voluto disinteresse, abbandono del quartiere da parte di Comune, Provincia, politici, del ruolo connivente di Tv e stampa locale, sui libri paga di Riva; così come del fatto che gli abitanti dei Tamburi stanno subendo tutti i mali e i guasti delle scelte economiche e politiche e gli viene negato anche un minimo di contropartita – Tamburi – ha detto qualcuno – dovrebbe essere almeno considerata “zona franca” per gli abitanti, perché non paghino le tasse, l’Imu sulle case piene di minerale dell’Ilva, perché i malati per l’inquinamento ambientale abbiano le cure gratuite, ecc.
Tornando all’Ilva si è denunciato il legame governo/Riva: come fa un governo che ha avuto soldi freschi da Riva per l’Alitalia ad andargli contro? Come mai oggi si dice che l’Ilva è un bene di tutto il paese, ma nel ’95 si è svenduta a Riva e oggi non si dice che sia lo Stato a riprendersi la fabbrica? Si è denunciato, infine, in più interventi che lo stanziamento da parte del governo di 336 milioni è una presa in giro, tenuto conto poi che una parte di questi soldi è destinata ad altro, al porto.

Un’assemblea popolare nel senso pieno della parola che si prende il diritto di parola e intende chiamare a raccolta anche gli altri quartieri della città. L’assemblea si è aggiornata dopo ferragosto.
Effettivamente pensiamo che una rete popolare di Comitati di quartiere, a partire dai Tamburi, serva a far avanzare questa battaglia, ed essere parte di un fronte unito con gli operai in fabbrica. Questa battaglia cominciata deve andare fino in fondo.

venerdì 10 agosto 2012

pc 10 agosto - si prepara la contestazione alla cantante sionista Noa


L'assessore alla cultura del Comune di Milano, Stefano Boeri, ha invitato la cantante israeliana Noa a Women for Expo.
Noa è una razzista sostenitrice di tutte le guerre israeliane compresa l'operazione Piombo Fuso contro Gaza (27 dicembre 2008 - 18 gennaio 2009).

email di Stefano Boeri
assessore.boeri@comune.milano.it

Il suo invito a Noa per Women for expo è una infamia.
Noa è una razzista al servizio del governo israeliano.

RADUNO SABATO 11 AGOSTO ALLE 20 a LARGO CAIROLI (METRO CAIROLI)
Il concerto è a entrata libera alle ore 21.30 al castello sforsesco.
ANDIAMO TUTTI AD APPLAUDIRE ENTUSIASTICAMENTE NOA!!!!

ISM-Italia



Il rovescio di Noa
Milano da capitale morale a  capitale ipersionista di Italia.
2011
Pisapia e company hanno permesso l’occupazione israeliana di piazza del Duomo a Milano.
Strette di mano con un criminale di guerra come Benjamin Netanyahu.
Presenti Noa, Grossman e così via.
dossier ism italia 2008 02 la fabbrica del falso il caso israeliano la militarizzazione della cultura edizione 2
2012 torna Noa
L’assessore alla cultura del Comune di Milano, Stefano Boeri, invita Noa a Women for Expo.
Sabato 11 agosto 2012 alle ore 21.30 al Castello sforzesco – ingresso gratuito.
Scrivere una email di protesta a:
assessore.boeri@comune.milano.it

Tournée 2012 Il caso Noa come la fabbrica del falso israeliana trasforma una ignobile razzista in una infame pacifista

Premessa
L’ultimo tour di Noa in Italia, anche nella patria dei santi
Dichiarazioni di una pacifista a La Stampa il 23 luglio 2006
Una lettera di Noa ai palestinesi di Gaza durante l’operazione “Piombo Fuso”, 2008-2009
La risposta del regista Udi Aloni alla lettera di Noa
L’uso di scudi umani palestinesi da parte dell’esercito israeliano
Una macabra “pacifista di sinistra” al servizio del governo israeliano
Noa 2006
«Hezbollah è uguale al nazismo, lo scriva. Bisogna cacciarli e liberare il Libano come la Germania mezzo secolo fa». … «Difendevo il dialogo con Arafat, sostengo Abu Mazen, mi batto da gennaio perché ci si confronti anche con gli estremisti di Hamas, eletti dai palestinesi».
Noa 2009
“Io so che nel profondo del vostro cuore DESIDERATE la morte di questa bestia chiamata Hamas che vi ha terrorizzato e massacrato, che ha trasformato Gaza in un cumulo di spazzatura fatto di povertà, malattia e miseria”. … “Posso soltanto augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve esser fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, oggi chiamato Hamas. E che questi assassini scoprano quanta poca compassione possa esistere nei loro cuori e CESSINO di usare voi e i vostri bambini come scudi umani per la loro vigliaccheria e i loro crimini”.
… un esempio di coerenza …..

Aggiungendo poi: “Posso soltanto augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve esser fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, e oggi chiamato Hamas. E che questi assassini scoprano quanta poca compassione possa esistere nei loro cuori e CESSINO di usare voi  e i vostri bambini come scudi umani per la loro vigliaccheria e i loro crimini”.
Con l’operazione “Piombo Fuso” Israele non è riuscita nell’intento di liberare i palestinesi di
Gaza dal “cancro” di Hamas; in compenso, li ha “liberati” dal fardello di oltre 1.400 dei loro fratelli, massacrati da Tsahal. Questo, senza contare gli oltre 5.000 feriti provocati dai crimini israeliani e gli oltre 22.000 edifici pubblici e privati totalmente o parzialmente distrutti (si tratta del 14% di tutte le costruzioni presenti nella Striscia!).
Dunque, secondo Noa, la responsabilità di aver trasformato Gaza in un cumulo di spazzatura in cui regnano fame, miseria e disperazione ricade su Hamas, e non sul progressivo blocco dei valichi attuato progressivamente da Israele, anche durante i periodi di tregua, che ha impedito l’afflusso nella Striscia di energia elettrica, carburanti, beni di consumo, attrezzature, pezzi di ricambio e persino dei beni umanitari.
Secondo Noa, così come per la più becera propaganda sionista, la colpa di tanti morti e feriti, la responsabilità per questi poveri bambini mutilati ed uccisi risiede nel loro utilizzo come “scudi umani”, e non nei reiterati crimini di guerra e crimini contro l’umanità di cui Israele, (vedi Missione di inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto a Gaza - rapporto Goldstone - Zambon editore 2011), viene da più parti accusato, non nella violazione dei principi basilari del diritto umanitario, non negli armamenti proibiti adoperati dalle truppe israeliane quali i proiettili all’uranio impoverito o le granate al fosforo bianco, di cui ora anche Israele ufficialmente ammette alcuni casi di utilizzo.
Nessuna  condanna  o  biasimo,  da  parte  di  Noa,  per  i  propri  governanti  e  per  i  generali
dell’esercito che provvede alla sua “difesa”, nessun accenno al fatto che le prime violazioni della tregua sono state poste in essere da Israele, con i raid aerei a partire dai primi giorni del  novembre 2008, nessun rilievo al terrificante rapporto tra perdite dell’IDF (Israeli Defence Force) e uccisioni di civili palestinesi non combattenti, passato da 1:6 nella prima Intifada a 1:109 nell’operazione “Piombo Fuso”.
Basta con i finti e macabri “pacifisti” israeliani, come Noa, ma anche come Yehoshua, che dispensano frasi gentili e intrise di compassione ma che sono sempre pronti a giustificare i più orrendi crimini e le più feroci operazioni militari dell’esercito israeliano, ivi inclusi i massacri di civili in Libano e, ora, nella Striscia di Gaza. Spacciandole addirittura come un “bene” per il popolo palestinese!

La risposta del regista Udi Aloni alla lettera di Noa
Cara Achinoam Nini,
ho scelto di rispondere a te e non all'intera destra rabbiosa, perché credo che il tradimento del campo della pace superi il danno causato dalla destra di migliaia di volte. La facilità con cui il campo della pace si accoda ai ruggiti di guerra ostacola la creazione di un significativo movimento che possa dare una vera resistenza all'occupazione.
Tu ruoti gli occhi, usi le tue parole d'amore al servizio dei tuo popolo conquistatore e chiedi ai palestinesi di arrendersi con voce tenera. Tu dai a Israele il ruolo di liberatore. A Israele - che, per oltre 60 anni, li ha occupati e umiliati. "Io so dove è il vostro cuore! E' proprio dove è il mio, con i miei figli, con la terra, con il cielo, con la musica, con la SPERANZA!" scrivi, ma Achinoam, noi abbiamo preso la loro terra e li abbiamo imprigionati nel ghetto chiamato Gaza.
Abbiamo coperto i loro cielo con i jet da combattimento, svettanti come angeli dell'inferno e
seminando  morte  a  caso.  Di  quale  speranza  stai  parlando?  Abbiamo  distrutto  ogni  possibilità  di moderazione e di vita in comune nel momento in cui abbiamo saccheggiato la loro terra, mentre eravamo seduti con loro al tavolo del negoziato. Possiamo aver parlato di pace, ma li abbiamo derubati anche degli occhi. Essi volevano la terra data loro dal diritto internazionale, e noi abbiamo parlato in nome di Dio.
... Hamas non è il mostro, mia cara Achinoam. È il figlio del mostro.
L'occupazione israeliana è il mostro. Essa e solo essa è responsabile per la povertà e la malattia e l'orrore. Siamo stati così spaventati dalla sua leadership laica, che ha minato la nostra visione della Terra di Israele, che abbiamo scelto di finanziare e sostenere Hamas, nella speranza che da una politica di divide et impera avremmo potuto andare avanti con l'occupazione per sempre, ma quando la cosa ci si è ritorta contro, tu scegli di incolpare l'effetto invece della causa.
Tu scrivi: "Io posso solo augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto, e, infine, VI LIBERI da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, e oggi chiamato Hamas ... Sarebbe lo stesso se la tua sorella palestinese scrivesse: "Speriamo che Hamas faccia il lavoro per voi, e vi liberi della Destra ebraica".
Quindi, forse, invece di ordinare a un popolo al quale abbiamo asportato chirurgicamente ogni barlume di speranza, potresti aiutare i tuoi fratelli e sorelle in Palestina a liberarsi dall'occupazione, dall'oppressione e dall'arrogante colonialismo inflitto dal tuo paese. Solo allora li puoi invitare a lottare democraticamente e riportare la Palestina allo stato mentale in cui era prima che noi li spingessimo in un angolo del muro che abbiamo costruito.
E se i tuoi fratelli in Palestina scelgono Hamas, devi rispettare la loro scelta, proprio come le
nazioni  del  mondo  hanno  rispettato  Israele  quando  ha  scelto  l'omicida  Sharon.  Hamas  lo  devono combattere loro, proprio come tu hai combattuto lui. Questa è la democrazia. Solo allora potrete tu e i tuoi fratelli da entrambe le parti di Palestina e Israele condividere - da uguali - la gioia della terra, il cielo e la musica; solo allora riusciremo a combattere insieme per la parità, per ogni uomo e ogni donna che vivono nella nostra terra santa. Amen.

Udi Aloni

L'uso di scudi umani palestinesi da parte dell'esercito israeliano
Il rapporto della Missione di inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza documenta al
capitolo XIV (pagine 251-265) l'uso di civili palestinesi come scudi umani da parte dell'IDF durante
l'operazione Piombo Fuso.
Testimonianze sull'uso di civili palestinesi come scudi umani sono state anche raccolte da Breaking the silence, una associazione di militari israeliani. http://www.breakingthesilence.org.il/
6. Una macabra “pacifista di sinistra” al servizio del governo israeliano
Se non bastasse tutto questo a dimostrare come Noa sia una macabra “pacifista di sinistra”, basta leggere:  Il progetto israeliano per la sicurezza, la libertà e la pace (The Israel Project’s 2009, GLOBAL LANGUAGE DICTIONARY) Dizionario per un linguaggio globale.
“A livello culturale, una recente Miss Israele era un’araba israeliana e Israele sta per mandare una ebrea-israeliana (Noa, ndt) e una araba-israeliana (Mira Awad, ndt) a cantare insieme al prossimo
concorso dell’Eurovisione.”
La  macabra  pacifista  è  al  servizio  del  governo  israeliano  che  la  manda  al  concorso
dell'Eurovisione con Mira Awad e poi a Revello, a Trento e a Matera, per dare di Israele una
immagine falsa.


pc 10 agosto - Il padre di Aldrovandi: “Perché Schwazer espulso e chi ha ucciso mio figlio no?”


 Il Fatto Quotidiano


"Lui per doping ha dovuto restituire subito tesserino e pistola, gli agenti condannati dalla Cassazione per l'omicidio di Federico sono ancora in servizio"

di Marco Zavagli | Ferrara | 9 agosto 2012

Perché Alex Schwazer sì e i poliziotti condannati per la morte di Federico no? È la domanda che si pone Lino Aldrovandi, il padre del ragazzo ucciso a Ferrara nel 2005 da quattro agenti di polizia nel 2005, confrontando un caso di doping con uno di omicidio.

Dopo lo scoppio dello scandalo doping che ha investito l’atleta azzurro alle Olimpiadi di Londra, l’Arma dei carabinieri, cui apparteneva il campione di marcia vincitore dell’oro a Pechino 2008, ha preso subito provvedimenti drastici: via dal corpo senza appello.

Gli agenti, invece, nonostante una sentenza di condanna a tre anni e mezzo per omicidio colposo passata in giudicato, prestano ancora servizio nella Polizia di Stato.

“Certo Schwazer ha sbagliato, senza se e senza ma, ma non ha ucciso nessuno”, riflette su facebook Lino Aldrovandi, che ricorda come invece “chi con una divisa, ora pregiudicato, in cooperazione ha ucciso e si è comportato da ‘scheggia impazzita in preda a delirio’ (parole queste pronunciate dal pg davanti alla Corte di Cassazione in sede di requisitoria, ndr), ha bastonato, ha soffocato, ha ucciso, ha detto il falso, ha depistato, ha omesso, ha disonorato quella divisa compiendo di fatto un alto tradimento, nonché ha oltraggiato e offeso dopo una sentenza definitiva la madre della vittima continua a lavorare come se nulla fosse, impunito come troppi tanti individui in divisa di altri morti rimaste senza un colpevole…”.

“Quella divisa avrebbe bisogno di un buon lavaggio”, riflette Lino Aldrovandi, che non dispera di vedere attuato quel provvedimento disciplinare promesso dal ministro Cancellieri: “Sono paziente, e questo a volte è un difetto che mi ha trasmesso mio padre, rallento, respiro e ascolto il mio cuore per accarezzare le tante vittime innocenti di questo nostro assurdo mondo”.

giovedì 9 agosto 2012

pc 9 agosto - sbirri torturatori chiamati a dirigere la scuola di formazione della polizia

Chi è Oscar Fioriolli? Biografia di un torturatore da insorgenze 01 Agosto
Nella nota diffusa dopo la conferma definitiva delle condanne pronunciata dalla Cassazione contro i vertici investigativi del ministero dell’Interno, il capo della Polizia Antonio Manganelli: «Ora, di fronte al giudicato penale, è chiaramente il momento delle scuse. Ai cittadini che hanno subito danni ed anche a quelli che, avendo fiducia nell’Istituzione-Polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza. Per migliorare il proprio operato, a tutela della collettività, nell’ambito di un percorso di revisione critica e di aperto confronto con altre istituzioni, da tempo avviato, la Polizia di Stato ha tra l’altro istituito la Scuola di Formazione per la Tutela dell’Ordine Pubblico al fine di meglio preparare il personale alla gestione di questi difficili compiti. Il tutto per assicurare a questo Paese democrazia, serenità e trasparenza dell’operato delle forze dell’ordine, garantendo il principio del quieto vivere dei cittadini».
A dirigere questa scuola, nata con decreto del capo della Polizia il 24 ottobre 2008 e operativa dal 1° dicembre successivo «con l’obiettivo – come recita il comunicato del ministero degli Interni– di formare personale specializzato capace di intervenire con professionalità in caso di eventi che possono degenerare dal punto di vista dell’ordine pubblico, come manifestazioni, cortei ed eventi pubblici, per garantire ancor meglio la sicurezza di tutta la collettività», è stato chiamato il prefetto Oscar Fioriolli.
Fioriolli è stato questore ad Agrigento, Modena, Palermo, Genova (subito dopo il G8) e poi a Napoli. Risulta anche indagato in una inchiesta sugli appalti Finmeccanica condotta dai pm della procura di Napoli e in una indagine portata avanti dalla procura genovese su una strana vicenda di consulenze per auto blindate richieste da un dittatore della Guinea Conakry e rapporti con un faccendiere siriano che gli avrebbe elargito una somma di 50 mila euro. Nel cuore del dispositivo antiterrorismo del ministero degli Interni dalla metà degli anni 70 in poi.
L’ex commissario della Digos e poi questore Salvatore Genova, lo descrive (cf.l’Espresso del 6/4 2012vedi anche la testimonianza video) mentre nella questura di Verona interroga di Elisabetta Arcangeli, una sospetta fiancheggiatrice delle Brigate rosse arrestata il 27 gennaio 1982. «Separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale».
Era in corso il sequestro del generale americano James Lee Dozier, vicecomandante della Fatse (Comando delle Forze armate terrestri alleate per il sud Europa) con sede a Verona, da parte delle Brigate rosse-partito comunista combattente. Sempre secondo la testimonianza fornita da Salvatore Genova, nel corso di una riunione convocata dall’allora capo dell’Ucigos Gaspare De Francisci presso la questura di Verona, presenti Improta, il poliziotto cui De Francisci aveva affidato il coordinamento del gruppo di super investigatori, Oscar Fiorolli, Luciano De Gregori e Salvatore Genova, si decise il ricorso alle torture. A svolgere il lavoro sporco venne chiamato insieme alla sua squadretta di esperti “acquaiuoli” (profesionisti del waterboarding, la tortura dell’acqua e sale) Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis, funzionario proveniente dalla Digos di Napoli, già responsabile per la Campania dei nuclei antiterrorismo di Santillo, in forza all’Ucigos. De Francisci fece capire che l’ordine veniva dall’alto, ben sopra il capo della polizia Coronas. Il semaforo verde giungeva dal vertice politico, dal ministro degli Interni Virginio Rognoni. Via libera alle «maniere forti» che in cambio forniva anche chiare garanzie di copertura. Fu lì che lo Stato decise di cercare Dozier nella vagina di una sospetta brigastista.
Nel frattempo sono morti Giovanni Coronas, Gaspare De Francisci e Umberto Improta, capo della squadra di investigatori che praticarono le torture sistematiche impiegate da varie squadre di poliziotti per almeno 11 mesi. Un giardino in suo ricordo di Improta è sorto non lontano da piazza san Giovanni, a Roma, tra via dell’Amba Aradam e via della Ferratella in Laterano.
Salvatore Genova è in pensione ed è l’unico che ha deciso di raccontare la verità. Nicola Ciocia, il mago del waterboarding, vive nascosto in una casa del Vomero a Napoli.
Sentito al telefono da Piervittorio Buffa, il giornalista che è riuscito a sfilare organigrammi e nomi degli autori delle torture dalla bocca di Salvatore Genova, che fino ad allora aveva solo denuciato i fatti senza mai indicare i corresponsabili (una prima volta nel 2007 davanti a Matteo Indice del Secolo XIX, poi nel libro di Nicola Rao, Colpo al cuoreSperling & Kupfer 2011, infine in una puntata di Chi l’ha visto?), Oscar Fioriolli ha rifiutato qualsiasi incontro per chiarire il ruolo avuto in quelle vicende e negato le circostanze riferite da Genova.
Gratteri, Luperi, Calderozzi, Mortola, Ferri, ed altri funzionari sono stati dimessi dai loro incarichi per le loro responsabilità accertatenel tentativo di depistare e coprire il massacro perpetrato all’interno della scuola Diaz.
Oscar Fioriolli, chiamato in causa con una testimonianza dettagliata per il ruolo avuto nelle torture e in una violenza sessuale, praticate durante gli interrogatori contro persone accusate di appartenere alla Brigate rosse, è sempre al suo posto.
Quando in Italia si seviziavano i brigatisti.  Il Venerdì di Repubblica, 20 luglio 2012
Roma. «La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe». Salvatore Genova racconta così quello che accadde nella questura di Verona, nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 1982. La ragazza è Elisabetta Arcangeli. Il suo compagno è Ruggero Volinia. Salvatore Genova è uno dei poliziotti che guidarono le indagini sul caso James Lee Dozier, il generale americano rapito dalle Brigate rosse il 17 dicembre 1981. Genova sarà arrestato insieme ad alcuni suoi uomini con l’accusa di aver usato violenza su dei terroristi catturati, ma quella notte, in questura, è solo un testimone: conduce l’interrogatorio il suo collega Oscar Fiorolli. 
I poliziotti capiscono che Volinia sta per cedere. «Fu uno dei momenti più vergognosi di quei giorni» dice Genova, «avrei dovuto arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece, caricammo Volinia su una macchina e lo portammo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale e, dopo pochi minuti, parla, ci dice dov’è il generale Dozier».
A coordinare il tutto e a eseguire il trattamento De Tormentis con acqua e sale, una tortura già usata dai francesi e la squadretta nella guerra di Algeria, è una squadretta speciale guidata da un alto funzionario di polizia, Nicola Ciocia e composta da quattro poliziotti chiamati i Quattro dell’Ave Maria. La tecnica è all’apparenza semplice, ma bisogna essere molto esperti per praticarla in modo sicuro ed efficace. D prigioniero è legato a un tavolo, con un tubo gli vengono fatte ingurgitare grandi quantità di acqua e sale che provocano, oltre alla nausea, un forte senso di soffocamento.
Ciocia è in via Caetani a Roma quando, il 9 maggio 1978, viene trovato il corpo di Aldo Moro nella Renault rossa. La sua squadra entra in azione pochi giorni dopo, già con i primi arresti del dopo Moro. 
All’«acqua e sale» è infatti sottoposto, lo racconta lui stesso nei dettagli, Enrico Triaca, il tipografo delle Br. Ma Ciocia, che Umberto Improta, capo degli investigatori durante il sequestro Dozier, soprannominò dottor De Tormentis, non agì certo di sua iniziativa. Lo si capì già allora, nel 1982, che c’era un piano preciso, venuto dall’alto. Se ne è avuta la conferma ora, a distanza di trent’anni. Ciocia, pur non ammettendo le torture con l’acqua e il sale, ha detto di essere lui il dottor De Tormentis. Salvatore Genova, a sua volta, è stato molto preciso. Ha raccontato della riunione che si tenne in questura a Verona all’indomani del sequestro di Dozier: un via libera all’uso delle maniere forti con terroristi e fiancheggiatori, il timbro ai metodi di Ciocia-De Tormentis.
La riunione fu convocata dall’allora capo dell’Ucigos Gaspare De Francisci. Nella stanza c’erano anche Improta, il poliziotto cui De Francisci aveva affidato il coordinamento del lavoro, Oscar Fiorolli, Luciano De Gregori e Salvatore Genova. Ascoltarono De Francisci dire, così ricorda Genova, che l’indagine su quel sequestro era «delicata e importante» e che bisognava fare «bella figura». E dare il via libera all’uso delle maniere forti per risolvere il caso. «Ci guardò uno a uno e con la mano destra» rievoca Genova «indicò verso l’alto. Ordini che vengono dall’alto, spiegò: quindi non preoccupatevi, se restate con la camicia impigliata da qualche parte, sarete coperti, faremo quadrato. Improta fece sì con la testa e disse che si poteva stare tranquilli, che per noi garantiva lui. Il messaggio era chiaro e, dopo la riunione, cercammo di metterlo ulteriormente a fuoco. Fino a dove arriverà la copertura? Fino a dove possiamo spingerci? Dobbiamo evitare ferite gravi e morti? Fu questo che ci dicemmo tra di noi funzionari. E di far male agli arrestati senza lasciare il segno».
Ciocia, con i quattro dell’Ave Maria, arrivò il giorno dopo quella riunione e poi tornò in Veneto negli ultimi giorni del sequestro, quando le indagini portarono ai primi arresti dei fiancheggiatori. E quindi alla necessità di farli parlare. Tutti gli uomini di Improta assistettero alla prima «acqua e sale» di Verona, quella praticata a Nazareno Mantovani, che svenne durante il trattamento.
L’adrenalina scatenata dal successo dell’operazione Dozier (il generale liberato, i brigatisti catturati senza sparare un colpo) e i risultati ottenuti con le tecniche di Ciocia scatenarono lo spirito di emulazione. Nella caserma della Celere di Padova, dove furono portati i terroristi, non si andò tanto per il sottile. Genova e i suoi, infatti, furono arrestati con l’accusa di aver organizzato, tra l’altro, la finta fucilazione del br Cesare Di Lenardo.
In quelle settimane, il ministro dell’Interno Virginio Rognoni disse: «Possiamo respingere, con assoluta fermezza e grande tranquillità di coscienza, l’accusa adombrata in alcune interrogazioni e sicuramente presente in certa campagna di stampa, di avere trasferito la lotta contro il terrorismo su un terreno diverso da quello dell’ordinamento giuridico mediante una pratica sistematica e violenta del rapporto fra Stato e cittadino al momento dell’arresto…».
I giornali ai quali faceva riferimento il ministro erano soprattutto L’Espresso e la Repubblica

pc 8 agosto - no tav ..lotta contro la militarizzazione



VAL DI SUSA, UNA MILITARIZZAZIONE… DIFFICILE!

Tra il 5 e 6 agosto, il movimento No Tav ha messo in atto due iniziative volte ad intaccare il meccanismo perverso della militarizzazione soffocante della valle, che il ministero dell’Interno ha cercato di mettere in atto come (debole) risposta ai fatti di luglio, quando, nel contesto di una  efficace mobilitazione estiva, la struttura difensiva del cantiere è stata attaccata e resa vulnerabile.
Ieri notte, verso l’1.30 un centinaio di No Tav ha sorpreso le truppe d’occupazione quando, emergendo improvvisamente dai boschi, ha circondato e assediato con una battitura dei cancelli il sito militare dell’area archeologica di Chiomonte, sotto la frazione Ramats. All’interno del recinto erano presenti soltanto due soldati piuttosto stupiti, che hanno immediatamente chiamato rinforzi. In modo piuttosto impacciato, la polizia ha cercato di monitorare la situazione ma non è intervenuta, evidentemente colta alla sprovvista.
Oggi, probabilmente in funzione di (nuovamente debole) risposta, i carabinieri hanno rafforzato i posti di blocco a Chiomonte, prima all’imbocco della SS24, con tanto di mitragliette puntate sugli automobilisti fermati e identificati (per lo più residenti e turisti), poi all’inizio di via Roma, la strada che conduce al campeggio No Tav. Quando, verso le 19.00 ben tre auto di compagni sono state bloccate per una identificazione/perquisizione del veicolo, la misura è apparsa colma. Un fatto di routine ormai da settimane, queste identificazioni, unico sfogo delle truppe d’occupazione dopo il mancato via libera del prefetto allo sgombero del campeggio; ma stavolta un passaparola ha condotto in pochi minuti un centinaio di compagni, in auto o a piedi, sul posto. I presenti hanno manifestato tutto il loro sdegno per l’ennesima provocazione dei militari, che in pochi minuti hanno battuto in ritirata tra i fischi e i cori dei presenti.
Questi due episodi mostrano come l’occupazione e l’intimidazione contro l’estate di lotta No Tav siano vulnerabili. La conoscenza dei sentieri e la determinzione dei No Tav nel primo caso, la solidarietà attiva dall’altro, hanno mostrato che l’inospitalità alle forze dell’ordine in valle può essere mostrata in molti modi, e in molti modi la mostreremo!
A queste iniziative si aggiunge un programma di comunicazione con la valle che ha visto oggi un presidio/volantinaggio a Bussoleno, che domani sarà a Susa e successivamente in altri paesi della valle, in occasione delle giornate di mercato nei diversi paesi. Come sempre la solidarietà e l’appoggio dei valligiani sono stati fortissimi, confermando che l’occupazione militare, particolarmente invasiva in queste settimane, è esclusiva espressione della debolezza politica del fronte Sì Tav.
Concludiamo ricordando che il campeggio No Tav andrà avanti fino a metà settembre: invitiamo tutti e tutte a partecipare all’estate di lotta in valle!

pc 8 agosto - Sempre più tasse, sempre più selezione, sempre più sfigati: un breve commento sull'estate calda dell'università - cau napoli

“Tasse! Tasse! Bellissime, adorabili tasse!”
“Sire, voi siete bravissimo a convincere i poveri a farvi omaggio dei loro risparmi!”
“Per coniare una frase, mio caro consigliere, ruba al povero per sfamare il ricco”.
(da Robin Hood)

Non è per ridere che iniziamo citando un cartone animato, ma perché questo spezzone di Robin Hood non può non ricordarci l’ultimo maxi-emendamento al decreto legge sulla spendig review, in particolare la parte sull’università, che di simpatico ha davvero poco.
Nel cartone, infatti, è proprio il principe Giovanni a centrare il punto: questa è l’ennesima operazione per cui a pagare dovranno essere quelli che pagano già da una vita! E dov’è il tentativo di inganno, il modo in cui il Sire prova a convincerci? E’ il responsabile Università del PD –guarda caso- a venirci in aiuto:
Marco Meloni, responsabile Università della segreteria Pd, benedice l’iniziativa. «L’emendamento cancella la norma del decreto legge che avrebbe consentito quasi il raddoppio delle tasse agli studenti in corso e un aumento senza limite né criterio orientativo per i fuoricorso. Inoltre, tutte le risorse derivanti dagli incrementi delle tasse ai fuoricorso sono destinate a diritto allo studio e welfare studentesco».
Quindi dovremmo ringraziarli?! Quella che a Marco Meloni sembra una fantastica novità o un motivo per cui elogiare questo emendamento, a noi sembra solo una presa per il culo. Paghiamo da sempre tasse di qualunque tipo e in perenne aumento per non avere un servizio mensa, per non avere alloggi, per non ricevere borse di studio, per seguire corsi seduti a terra, per pagare libri di testo sempre più costosi, e la lista potrebbe continuare all’infinito.

Qual è l’elemento di novità, quindi? Pagheremo per dei nostri diritti, diritti che poi nemmeno per sbaglio vengono rispettati, ma semplicemente un po’ di più di prima!
E qui calza a pennello una notizia vecchia di qualche giorno che, invece, qualcosa di simpatico ce l’ha, forse nelle sue sembianze di ossimoro: in Campania la tassa regionale per il diritto allo studio aumenterà del 126%.

Riepilogando, quindi, aggiornandoci in base a ciò che è stato votato al Senato e che lunedì verrà votato alla Camera:
-in Campania la tassa regionale per il DSU passa, per tutti, da 62 a 140 euro;
-le tasse universitarie aumentano per tutti, anno prima-anno dopo. L’aumento verrà calcolato in base al reddito;
-per i fuori corso le tasse diventano dal 25% al 100% più alte delle tasse 0(aumentate!) degli studenti in corso.
(Per fasce di reddito, percentuali e anni precisi, guarda la tabella del Sole24Ore)
Ci agganciamo a quest’ultimo punto per toccare un altro nodo sostanziale: ci stanno dicendo che questi diritti non dobbiamo solo comprarli a caro prezzo, ma che ce li dobbiamo anche meritare.
Se per qualunque motivo non riusciamo ad essere nei tempi giusti, per loro non siamo all’altezza dei nostri diritti, insomma!
E se proprio dobbiamo essere precisi, ce lo stanno solo ribadendo: ormai sono anni che ci tocca ascoltare  nenie sulla meritocrazia, ed è solo un mese fa che è sopraggiunta la loro codificazione: la Riforma Profumo a.k.a. Pacchetto Merito. Una riforma a costo zero per motivi ben precisi: rispondeva alla necessità di costruire una cornice ideologica nella quale far rientrare i provvedimenti successivi; corrispondeva ad un vero e proprio manifesto di questo Governo che fa della competizione, della produttività, dell’arrivismo la propria bandiera e che parte, ovviamente, dalla scuola e dall’università per toccare qualunque aspetto delle nostre vite, come abbiamo già scritto nel nostro commento alla riforma.

Sembra di capire, quindi, che gli studenti fuori corso, risultando poco produttivi, non si meritino il diritto allo studio, tanto da dover pagare non solo più tasse in quanto studenti, ma “qualcosina” in più, essendo fuori i ritmi imposti.
A proposito di questo Michael Martone, dopo le dichiarazioni di febbraio, che si sono confermate “dichiarazioni d’intenti” del Governo Monti,  non s’è fatto scappare quest’altra occasione:
"In difesa del provvedimento si schiera Michel Martone, viceministro del Lavoro, celebre per avere definito “sfigati” proprio i fuoricorso, «ma lo direi ancora» — commenta — è stato un incentivo a spronare i giovani".


E l’ultimo commento lo riserviamo alla postilla che riguarda gli studenti-lavoratori i quali dovrebbero avere un trattamento particolare e agevolato.  Postilla pensata, probabilmente, in risposta a quelli che si sono permessi di dire che talvolta si è studenti fuori corso proprio per la necessità di doversi barcamenare tra studio e lavoro per potersi permettere l’università. Saremmo curiosi di sapere in che modo verrà certificato lo “status” di studente-lavoratore dal momento che molti di quelli che si trovano in questa situazione lavorano a nero.

Non dimenticate che siamo “solo” studenti, certo, ma che i genitori che ci “mantengono” e per cui siamo stati chiamati (tra le tante) “bamboccioni”, magari sono in cassa integrazione, o sono stati licenziati, o sono “esodati”. Siamo “solo” studenti, ma quando troveremo un lavoro “in regola” avremo sempre meno diritti e chissà se e quando avremo una pensione.

Siamo studenti, quelli che negli anni scorsi sono scesi in piazza contro la Riforma Gelmini, ma anche il giorno del voto di fiducia del Governo Berlusconi. E siamo anche quelli che hanno manifestato contro la TAV, contro il piano Marchionne, contro il Governo Monti e contro l’attacco al mondo del lavoro.
Dobbiamo continuare su questa strada, anzi, dobbiamo cominciare a lavorare per mettere in moto una forte mobilitazione di cui quest’anno si è sentita la mancanza e di cui sono stati partecipi i lavoratori, isolati più che mai e impegnati in lotte per la sopravvivenza.

L’Italia è uno dei paesi con una ricchezza privata tra le più alte in Europa, addirittura più alta di quella francese, tedesca o inglese. Non smetterebbero mai di “rubare ai poveri per sfamare i ricchi”, sarebbe stupido aspettarsi il contrario, ma dobbiamo essere coscienti del fatto che questa non è l’unica soluzione e quindi dobbiamo lottare affinché cambi lo stato di cose presente!


I diritti non si meritano, si conquistano!
EAT THE RICH!

mercoledì 8 agosto 2012

pc 8 agosto - Il Fronte Democratico Rivoluzionario dell'India a sostegno degli operai della Maruti


Il Fronte Rivoluzionario Democratico Nazionale dell'India sulla lotta degli operai, gli scontri comunali e atrocità di casta

Comitato Esecutivo Nazionale dell'India del Fronte Democratico Rivoluzionario (FDR) - Tre risoluzioni (approvate nella riunione di Delhi, 1-2 agosto 2012) (dopo la prima conferenza di Hyderabad il 22-23 aprile 2012).


1. Sulla lotta degli operai della Maruti Suzuki

Il FDR saluta il movimento militante dei lavoratori della fabbrica della Maruti Suzuki a Gurgaon, e condanna fermamente la direzione della società così come il governo che hanno intrapreso una severa campagna di repressione contro i lavoratori. L'azienda ha dichiarato una serrata, che porta alla perdita di posti di lavoro di migliaia di lavoratori. Più di un centinaio di operai compresi i dirigenti sindacali della Suzuki Maruti Workers Union sono stati arrestati e accusati di omicidio, mentre la maggior parte degli altri lavoratori sono stati costretti alla clandestinità per evitare gli arresti. Il FDR decide di estendere la solidarietà e tutto il supporto possibile ai lavoratori in lotta della Maruti Suzuki. Il FDR richiede che l'impianto sia immediatamente riaperto, i lavoratori arrestati siano rilasciati, le accuse contro di loro ritirate incondizionatamente, che siano restituiti ai loro lavori precedenti, e che tutte le richieste del sindacato dei lavoratori siano accolte immediatamente. Invitiamo i lavoratori a continuare e intensificare la lotta finché queste richieste vengano accolte.

2. Sugli scontri comunali ad Asom

Ci sono stati diffusi scontri tra i contadini appartenenti alla comunità tribale Bodo e contadini bengalesi musulmani. La violenza si è diffusa in quattro quartieri occidentali dell'Asom - Kojkrajhar, Dhubri, Chirang e Gossaigaon – e ha portato alla morte di oltre un centinaio di persone e ha reso migliaia di persone senzatetto che vivono in campi profughi gestiti dal governo. Anche se su entrambi i lati dello spartiacque si tratta per lo più di piccoli contadini e senza terra, e questa è una contraddizione tra il popolo, il ruolo ambiguo delle classi dirigenti l'hanno trasformata in una contraddizione ostile. Gli attacchi ai contadini musulmani, in particolare, rafforza le forze comunali indù. E non è la prima volta che i governanti hanno istigato tale violenza comunale tra queste due comunità in questa regione. In molte occasioni in passato un gran numero di persone provenienti da entrambe le parti hanno perso la vita e centinaia di migliaia hanno perso le loro proprietà. L'irrisolta questione della terra è stata usata da parte delle classi dominanti per instillare il sospetto, odio e violenza tra queste due parti del popolo, che sono entrambi oppressi dalle relazioni sociali di sfruttamento. Tutti i cosiddetti scontri comunali sono sempre sponsorizzati dallo stato. In assenza di una forza progressista o rivoluzionaria tra la gente, incidenti di questo tipo si ripeteranno più volte da parte dei governanti per consolidare il loro dominio e per deviare l'attenzione delle masse dai problemi reali. Il FDR sta dalla parte dei contadini Bodo e del Bengala dell'Asom occidentale.



3. Sulle atrocità di casta che si stanno verificando in tutta l'India

Vari episodi di atrocità sulla casta Dalit sono state commesse dalle forze delle caste dominanti in diverse parti del paese - che spaziano dai Bolangir dello Stato dell'Odisha a Lakshimpeta dell'Andhra Pradesh e recentemente a Bhagana in Haryana, in Uttar Pradesh, Bihar e in altri luoghi. Mentre il massacro di cinque contadini dalit in un modo raccapricciante nel villaggio Lakshimpeta da parte dei proprietari terrieri delle caste dominanti e dei contadini ricchi hanno scosso il paese, altri episodi di attacchi di casta come l'incendio di case e l'assalto a 60 famiglie dalit in Bolangir o il boicottaggio sociale e la messa al bando di 128 famiglie dalit di Bhagana non hanno attirato molta attenzione dei settori progressisti e democratici del paese. A Lakhsimpeta, la sezione terriera della casta arretrata Kapus ha adottato l'ideologia brahminica a causa della loro acquisizione della proprietà privata – la cosa più importante, la terra, e sono diventati autori di violenze sulla casta "intoccabile" Mala. Il massacro di Lakshimpeta coinvolge anche le questioni della diga e dello spostamento forzato, dato che la gente del villaggio viene sfrattata da una diga costruita dal governo. Mentre altri sfrattati hanno ottenuto un risarcimento e terreni da parte del governo, i Dalit non sono riusciti a ottenere nulla e hanno perso tutto a causa di questo spostamento forzato.
Atrocità di Casta in UP e Bihar vengono perpetrate anche su base giornaliera, compreso l'omicidio e lo stupro dei dalit, senza alcuna protesta visibile o resistenza. La terra è la questione centrale nella maggior parte di questi episodi di atrocità nell'India rurale che prende la forma di violenza di casta. Inoltre, le caste dominanti ricorrono alla brutale violenza ogni volta che la casta dei Dalit afferma la propria indipendenza e libertà, sfidando le caste dominanti. La lotta di classe e violenza di classe spesso assumono la forma di violenza e repressione di casta in un paese semi-feudale e semi-coloniale come l'India che ha l'attributo specifico del sistema di casta brahmanica. Questo dimostra la natura radicata del feudalesimo nella società indiana e la necessità di intensificare la lotta anti-feudale come compito immediato e urgente delle organizzazioni rivoluzionarie, come il FDR e delle sue organizzazioni di massa. La complicità delle classi dirigenti nell'istigazione e perpetrare la violenza di casta è evidente in ogni attacco ai dalit, dato che l'amministrazione e la polizia sono sempre al fianco delle caste dominanti e opprimono ulteriormente i Dalit. La sentenza di assoluzione della Corte Suprema dei colpevoli coinvolti nel massacro di Baithani Tola in Bihar e di simili bagni di sangue di dalit dimostrano che i dalit non possono aspettarsi una giustizia ed equità dal sistema esistente, né gli attacchi contro i Dalit si fermeranno a meno che non vi sia resistenza organizzata e ritorsioni da parte dei Dalit e di altri popoli oppressi.
Va anche compreso che la spirale della crisi economica mondiale ha mostrato le sue terribili manifestazioni sotto forma di aggressioni fasciste da parte delle classi/caste dirigenti dominanti e il loro Stato sui dalit, gli adivasi, i musulmani - le fasce più vulnerabili della popolazione oppressa.
Gli attacchi contro i Dalit e la loro affermazione consapevole, tuttavia, non si limitano solo alle aree rurali. Anche nelle aree urbane i dalit devono affrontare le ire delle caste dominanti, così come dello Stato indiano. Per esempio, gli operai della fabbrica Maruti Suzuki a Gurgaon hanno iniziato la loro recente agitazione, quando un lavoratore Dalit è stato umiliato e preso di mira da parte della direzione per motivi di casta. Abbiamo anche assistito alla persecuzione da parte dello Stato del Kabir Kala-Manch, un'organizzazione culturale Ambedkarite che abbraccia gli ideali della Nuova Rivoluzione Democratica che lavora nelle aree urbane del Maharashtra. Per contrastare gli episodi di violenza di casta - sia perpetrata da parte delle caste dominanti, dalle classi dominanti o dallo Stato – la ritorsione è l'unica risposta. Il FDR invita i dalit a combattere tutte le manifestazioni di violenza di casta. Il FDR invita tutte le organizzazioni che lo compongono a partecipare e condurre rappresaglie contro la violenza delle caste dominanti nelle loro aree di lavoro. Il FDR lancerà una campagna militante e aggressiva nei confronti di episodi di violenza di casta.

pc 8 agosto -“Emilia Romagna regione dove si registrano più feminicidi”


 Il Fatto Quotidiano


A dirlo un recente rapporto curato dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna: su 120 casi ben 16 sono avvenuti in quella zona. Eppure il Comune ha tagliato i fondi all'associazione che solo per il servizio base di protezione spende già più del doppio dei 70 mila euro a disposizione

di Antonella Beccaria | 7 agosto 2012




Piacenza, Cesena e Copparo, in provincia di Ferrara. Sono le tre località in cui si sono consumati alcuni dei più recenti “femicidi” (termine da non confondere con “femminicidi”, usato per le violenze di stampo misogino), omicidi ai danni di donne da parte di uomini con cui avevano avuto relazioni più o meno lunghe. A questi casi – le vittime erano Kaur Balwinder, 27 anni, Sabrina Blotti, 44, e Ludmilla Rogova, 43 – se ne devono aggiungere molti altri, avvenuti prima e dopo. Come quello, per esempio, di Camilla Auciello, 36 anni, uccisa a Baricella, nel bolognese, nell’aprile 2011 dal compagno, Claudio Bertazzoli, un appuntato dei carabinieri quarantaseienne che lo scorso 31 luglio è stato condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere.

L’Emilia Romagna, raccontano i dati ricavati dalle cronache e confluiti in un recente rapporto curato dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, è una delle regioni in cui più di frequente una donna può venir ammazzata da un marito, da un ex fidanzato o da un corteggiatore respinto. Per ricordarlo – e per ricordare anche l’omicidio di Sandra Lunardini, assassinata a Milano Marittima il 24 luglio – l’associazione Linea Rosa ha organizzato nei giorni scorsi a Cervia una fiaccolata, secondo evento nel giro di pochi giorni dopo quello di Palermo, dove un corteo ha sottolineato quella che ormai ha assunto i contorni di un’emergenza sociale.

Sedici delitti su 120 in Emilia Romagna. Si legge nello studio bolognese “Uomini che uccidono le donne. Indagine sul femicidio in Italia. I dati del 2011”, lo scorso anno a livello nazionale le donne ammazzate sono state 120, 16 delle quali nella sola Emilia Romagna. A seguire, in una classifica della violenza omicida sulla componente femminile della società, la Lombardia (12), il Veneto (10), il Lazio (9), Abruzzo, Calabria e Piemonte (8), Campania e Sicilia (7). Su base provinciale prima viene Roma (7 casi), poi Milano (6) e Prato, Genova e Venezia, con 4 delitti. In Emilia Romagna, sono 5 quelli commessi in provincia di Bologna, 4 in quella di Modena mentre 2 sono i casi a Forlì-Cesena, Parma e Reggio Emilia. Infine uno rispettivamente a Rimini e Piacenza.

Ripercorrendo quanto avvenuto nel 2011, il primo caso si verifica il 6 febbraio nel capoluogo di regione. A essere uccisa con il figlio di 2 anni è la cittadina marocchina Ilham Azounid, che già si era rivolta alla Casa delle donne di Bologna, e ad agire è stato il marito Marcello Pistone, che alla fine si è suicidato. Il 20 marzo, invece, a Piacenza Giovanni Badalotti, 42 anni, già con precedenti, ha assassinato la vicina di casa, la novantunenne Stella Paroni, cercando poi di occultarne il cadavere. Due giorni più tardi, a Carpi (Modena), Giuseppa Caruso, 41 anni, è stata accoltellata dal marito, Dario Solomita.

In ordine cronologico il 2 aprile c’è stato poi il caso già citato di Camilla Auciello, quello giunto a sentenza pochi giorni fa, e una settimana più tardi a Parma l’etiope Gouesh Gebrehiwot, 24 anni, colpita a morte con un’arma da fuoco dall’ex, Enrico Croci, 46. È di nuovo una donna straniera a morire poco dopo. È il 26 aprile e si tratta di Maria De Assis Johnson, 50 anni, d’origine brasiliana e trapiantata a Modena. Il suo assassino è il compagno di un decennio più anziano, Stefano Moruzzi, che poi si è tolto la vita. Teresa Anna Urbaniek, che veniva dalla Polonia e che aveva 46 anni, è stata aggredita il 7 maggio a Vignola da Francisco Celio Silva, individuato poi dalle tracce di Dna lasciate sul cellulare della donna.

Non passa nemmeno un mese e mezzo e a Modena viene uccisa Barbara Cuppini, 40 anni, dal compagno, Alessandro Persico, mentre il delitto successivo si verifica il 5 settembre. La vittima è Beatrice Mantovani, che morirà all’ospedale Maggiore di Parma, e a spararle nel cortile di casa sua, a Reggiolo, è l’ex marito, Ivano Ferrais, che poi rivolge l’arma contro se stesso. È più o meno la stessa dinamica di quanto si verifica il 3 ottobre successivo a Sala Baganza (Parma). Perde la vita Simonetta Moisé, 56 anni, da anni immobilizzata da una malattia, e anche stavolta è il coniuge ad agire, Pietro Amighetti, 63, che l’aveva assistita fino a quel momento.

Il giorno successivo, a Cesenatico, Luca della Valle (accusato e poi assolto per insufficienza di prove per l’omicidio della prima moglie, Cinzia Maldini) strangola la compagna Gaetana Dama, 39 anni, e poi la fa finita impiccandosi. Morirà a Bologna per dissanguamento invece Augusta Alvelo, nata 50 prima nella Repubblica Dominicana, colpita con un coltello dal fidanzato Loris Castelli, che tenta il suicidio. Lo stesso giorno, il 19 novembre, a Brescello (Reggio Emilia) muore Rachida Radi, 35 anni, una donna marocchina che voleva separarsi dal marito, Mohamed El Ayani. Infine l’anno di sangue si chiude il 3 dicembre 2011 con una storia di malattia e disperazione che si consuma a Bologna, dove Elsa Boni, 67 anni, malata di Alzheimer, che muore con il marito, Orlando Di Domenica, entrambi “volati” dalla finestra di casa.

Negli ultimi 5 anni aumentate del 50% le richieste di aiuto. “In questa ricerca – fa rilevare Roberta Granelli, della Casa delle donne per non subire violenza – la regione Emilia Romagna risulta avere una media più alta (38,2%) rispetto a quella italiana (31,9%) anche per la violenza fisica o sessuale”. Queste percentuali, pubblicate nel 2007 dall’Istat e relative all’anno precedente, riguardano il fenomeno dei maltrattamenti e dunque sembrano avere un andamento parallelo rispetto gli omicidi. “Tra il 2006 e il 2007 – aggiunge Angela Romanin, responsabile della formazione e dell’ufficio stampa della onlus bolognese – le donne che si sono rivolte a noi sono aumentate del 50% e siamo a più di 600 persone all’anno che cercano il nostro aiuto, tra persone nuove e chi invece è già seguita da noi. In parte questo incremento deriva da una maggiore consapevolezza, ma anche da un maggior coraggio perché, per denunciare, ce ne vuole molto”.

“In Italia non accade come in Spagna o in Gran Bretagna, dove gli uomini vengono processati da tribunali specializzati”, aggiunge. “Qui è la donna che si deve far carico di attivare la procedura giudiziaria e le relative spese legali e solo chi ha un reddito inferiore ai 10 mila euro lordi all’anno ha diritto al gratuito patrocinio. Questa è solo una delle difficoltà di un fenomeno che cresce facendosi più acuto da sud a nord. I ricercatori dicono che una ragione è la maggior propensione femminile a ribellarsi nelle aree settentrionali, a cui conseguono con maggior frequenza le ritorsioni maschili. Ma solo ipotesi perché i dati vengono raccolti dai centri anti violenza mentre il ministero dell’Interno finora non ha mai fornito dati disaggregati sulla violenza di genere da analizzare”.

Come intervenire? “È una questione complessa – conclude Angela Romanin – Occorre proteggere meglio le vittime, fermare gli autori sanzionandoli in modo ancor più rigoroso e combattere una cultura misogina e maschilista forte e radicata nel tempo, come rileva anche l’Onu dando la sua definizione di violenza di genere”. Per questo, per lavorare su informazione e consapevole, nella seconda metà di novembre tornerà a Bologna il festival “Violenza illustrata”, giunto alla settima edizione e articolati su 15 giorni di eventi.

Casa delle donne di Bologna: il Comune taglia i fondi.  Per quest’anno, come per il 2011, il Comune di Bologna ha tagliato 25 mila euro alla Casa delle Donne. Per l’associazione femminile ci si dovrà accontentare dei 70 mila euro comunali di base, più i 45 mila della Provincia di Bologna e alcune migliaia dai comuni della provincia bolognese. Ma il servizio base di protezione alle donne, che comprende ospitalità e supporto nell’accudimento dei bambini, costa già più del doppio dei 70 mila euro comunali. Così la Casa delle Donne navigherà anche quest’anno a vista: un po’ con il 5 per mille e un po’ con il fundraising. A Ravenna con 200 mila euro, come a Reggio Emilia, il fabbisogno minimo delle omologhe strutture locali, è coperto dai finanziamenti comunali. La presidente della sede bolognese, Susanna Bianconi: “Noi siamo la cenerentola della Regione”.

martedì 7 agosto 2012

pc 5-6-7 agosto - RIESAME ILVA: "CONFERMA SEQUESTRO MA PER MESSA A NORMA... CONFERMA ARRESTI PER RIVA E CAPOGROSSO..."

Da Repubblica.it

Ilva, Riesame conferma sequestro "Per la messa a norma, non chiusura"

La decisione del Tribunale, confermati anche i domiciliari per i Riva.  Il presidente Ferrante - nominato custode e amministratore degli impianti - assicura il monitoraggio esterno attraverso centraline di rilevamento e la videosorveglianza nelle cokerie

Il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti Ilva di Taranto, vincolandolo però alla messa a norma e non alla chiusura degli impianti. Domiciliari confermati per Nicola Riva, Emilio Riva e Luigi Capogrosso, mentre tornano liberi i dirigenti Andelmi, D'Alò, De Felice, Di Maggio e Cavallo. Nel sequestro dell'Ilva, come si diceva, è prevista la facoltà d'uso degli impianti finalizzata alla messa a norma. E il Riesame di Taranto ha nominato il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, custode e amministratore di aree e impianti sotto sequestro. Restano in carica, per le procedure tecnico-operative, i tre ingegneri nominati dal gip. Ferrante sostituisce il commercialista nominato per i compiti amministrativi.

Il Tribunale ha disposto che "i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti", confermando nel resto il decreto impugnato. I giudici si sono riservati di depositare le motivazioni dell'ordinanza. I termini non perentori per le motivazioni sono di cinque giorni.

L'attesa del decreto Intanto la Camera dei deputati, questa sera o domani, potrebbe essere riconvocata per l'annuncio del decreto legge ad hoc. E' quanto è emerso dalla riunione dei capigruppo di Montecitorio. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha chiesto ai capigruppo che la Camera fosse riconvocata per l'annuncio del decreto, varato all'ultimo Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, ma che manca ancora della firma del Capo dello Stato. "Siamo incerti - ha spiegato Giarda - se riusciremo a presentarlo già questa sera o domani mattina". In ballo i 336 milioni di euro che serviranno per avviare gli interventi di bonifica e risanamento del territorio".  

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Lo Slai cobas per il sindacato di classe Ilva Taranto ha lottato in questi giorni intorno alla parola d'ordine: operai in fabbrica padroni in galera, e su questa base ha chiesto la modifica della decisione della magistratura nel senso di evitare la chiusura della fabbrica. La sentenza odierna a quanto pare riconferma il sequestro ma lo orienta verso la messa a norma degli impianti. Nello stesso tempo conferma gli arresti per padron Riva e Capogrosso, mentre scarcera gli altri dirigenti che restano però imputati. Ora la lotta degli operai è più necessaria che mai perchè padron Riva non garantisce affatto che questo risanamento ci sarà, non ha messo finora i fondi necessari allo scopo, nè ci sono garanzie che comunque Riva non metta in "libertà" gli operai. Quindi è proprio la lotta contro padron Riva che deve continuare e deve essere assunta come linea di condotta in fabbrica. Le attuali direzioni sindacali che da sempre sono collaborazioniste con Riva e che sono corresponsabili di aver portato la situazione a questo punto, non sono affatto adatti a condurre questa lotta. Per questo è urgente che gli operai costruiscano un sindacato nelle loro mani che faccia la lotta dura contro padron Riva a tutela del lavoro e della salute. Se gli operai fanno questo, si ricostruisce il rapporto tra operai e cittadini che questa situazione ha messo in difficoltà.   Le risposte del governo e delle istituzioni sono assolutamente insoddisfacenti, per un'impresa così grande, come quella di realizzare una bonifica e risanamento di intere zone della città, del mare, dei terreni. Questi soldi peraltro non possono essere un regalo a Riva che deve mettere i soldi suoi. Per questo la lotta deve indirizzarsi anche contro il governo e le Istituzioni locali.   L'inchiesta ha messo in luce l'ampio sistema di corruzione messo su da padron Riva attraverso il factotum Archinà, che riguarda politici, giornali, sindacalisti, funzionari delle istituzioni, e, diciamo noi, anche magistrati. Noi avevamo già denunciato tutto questo, anche se non avevamo sufficienti prove per fare tutti i nomi e cognomi che sappiamo. Ora, anche su questo si deve andare a fondo. Vogliamo l'arresto di Archinà e di tutti coloro che ne hanno guidato l'azione, non solo padron Riva ma i dirigenti Ilva, e vogliamo l'incriminazione appunto dei politici, sindacalisti, magistrati, giornalisti, funzionari, pagati da Riva. E noi per primi ne faremo i nomi per quanto è a nostra conoscenza.

Slai cobas per il sindacato di classe ILVA - Taranto 3475301704

7.8.12

pc 5-6-7 agosto - ILVA TARANTO: NOTIZIARIO 2


La giornata di oggi è caratterizzata dal pesante intervento ricattatorio dell'attuale portavoce di padron Riva, Bruno Ferrante, che, abbandonando i “guanti gialli” e l'atteggiamento diplomatico dei giorni scorsi, dice nettamente che la conferma dei provvedimenti del giudice e la loro attuazione comporterebbe la chiusura dell'Ilva di Taranto ma anche ei Genova e Novi Ligure, per non parlare delle centinaia di fabbriche dell'indotto di Taranto, Genova e Novi Ligure, nonché un'altra serie di aziende legate al ciclo produttivo dell'Ilva - è di oggi per esempio la notizia che anche la Sanac di Gattinara (Vercelli) con 108 operai che produce mattoni refrettari per altoforni che per l'80% finiscono a Taranto, sarebbe colpita dal provvedimento di chiusura.
Questa posizione ha uno scopo solo, cercare di portare nettamente dalla propria parte le forze politiche, istituzionali e i vertici sindacali e soprattutto mantenere il morso della linea aziendalista e neocorporativa sugli operai Ilva, veicolata da capi, tecnici in fabbrica. Questo disegno di padron Riva deve essere contrastato prima di tutto in fabbrica perchè le condizioni attuali in nessuna maniera permettono a padron Riva di cavarsela così.

L'ilva non si chiude ma va risanata con gli operai dentro.
Padron Riva e i suoi uomini devono pagare per le loro responsabilità, in tutte le sedi.

Intanto, come se fossimo di fronte a due tattiche, le cose vanno diversamente al Tavolo riunitosi presso la Regione in questa cosiddetta “cabina di regia” per l'ambientalizzazione dello stabilimento, che comprende Regione, Enti locali, Ministero, Arpa e azienda. Qui l'Ilva è sembrata acconsentire ad una serie di misure immediate relative al controllo della diossina, degli idrocarburi policlini e aromatici, polveri totali e diossina al suolo. Ha dichiarato una disponibilità blanda anche ad un taglio della produzione per ridurre il benzopirene, mentre ha riproposto per i parchi minerali piani già conosciuti e nettamente insufficienti. Così i toni verso l'inchiesta della magistratura sono in continuità con lo stile che Ferrante ha usato dal suo insediamento a Taranto. Quale è tattica e quale è strategia in questi due volti dell'Ilva?

Anche su questo quello che conta è il punto di vista operaio e i risultati concreti della mobilitazione cittadina. Gli operai sostengono e sosterranno tutti gli interventi necessari per la bonifica degli impianti, anzi, devono essere coinvolti anche in termini di proposte per questo. Gli operai sono pronti, o almeno devono esserlo, a stringere il collo all'azienda perchè faccia quello che è necessario e metta il massimo dei soldi necessari allo scopo.
Riva non è un industriale che gioca al casinò della finanza, né è dedito alla satrapia e al lusso di altri pezzi del capitalismo italiano. Riva tende ad investire in azienda gli utili o ad allargare il proprio impero industriale, nonché a salvaguardarlo dai colpi di coda delle crisi che lo toccano. Ci sono quindi le condizioni per costringere Riva ad utilizzare questa attitudine, questa volta, perchè concentri le energie sul fronte del risanamento. E sono ancora gli operai in fabbrica l'arma necessaria per piegare padron Riva su questo.

Il sindacalismo confederale ha ceduto su tutta la linea in questi anni e quindi è diventata una parte del problema in fabbrica. Gli operai devono scegliere ora la strada del sindacalismo di classe e della lotta di classe in fabbrica come unica reale possibilità di salvare lavoro e stabilimento ed essere parte integrante e dirigente della lotta per una fabbrica bonificata e una città risanata.
Il sindacalismo confederale questo non lo fa. La contestazione di giovedì scorso ha messo in luce che loro sono solo disponibili ad una strada, quella di mantenere il loro potere dentro il sistema Riva e impedire l'autorganizzazione e la ribellione operaia. Nello stesso tempo, il capintesta di questa linea è la Uilm di Palombella e la Fim ha risposto prontamente con la sospensione di Francesco Rizzo – ex Fiom passato alla Fim per 'copertura sindacale' e partecipante alla contestazione di giovedì. Questi sindacati confederali si contrappongono agli operai dentro e fuori la fabbrica, sposano la linea aziendalista e governativa, e non è così che gli operai in fabbrica e le masse popolari in città potranno raggiungere i loro obiettivi in termini di lavoro e salute.
La Fiom di Landini, sempre più allo sbando, che giovedì ha scelto la linea dell'attacco frontale alla contestazione, fa oggi ritornare lo stesso Landini per cercare di mettere una “pezza”; ma questo sindacato non ha né la linea né gli uomini per rappresentare un'alternativa. Di questo si sono già resi conto gli operai ribelli e contestatori, gli operai iscritti e organizzati con lo slai cobas e un'ampia fetta di operain di base Fiom ancora non organizzata.
Lo Slai cobas persegue la linea dell'unità òper il sindacato di classe di questa componente per costruire nel fuoco dello scontro, in fabbrica principalmente, e in stretto legame con la massa degli operai la costruzione dell'alternativa di classe.

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  I magistrati impegnati nell'inchiesta, guidati dal Procuratore Sebastio, stanno alimentando lo scontro con la diffusione e la riproposizione di ampi stralci dell'inchiesta che testimoniano la gravità della situazione e i suoi effetti mortali, la responsabilità diretta dell'Ilva in questo e le responsabilità anche penalmente rilevanti di chi dirige lo stabilimento nelle violazioni delle leggi.
A sostegno di questa inchiesta sono state messe in campo le intercettazioni dell'inchiesta parallela sul ruolo dell'Ilva nella corruzione di chi doveva fare i controlli istituzionali e di chi doveva essere dentro il sistema Riva, sindacati confederali, giornali, perchè l'azione del padrone si potesse dispiegare libera e impunita. Su questo i nomi non vengono ancora fatti e soprattutto manca il ruolo della corruzione dei magistrati e gli “inquinamenti ambientali” nel Tribunale, della cui denuncia finora lo Slai cobas è stata punta di lancia senza trovare né il sostegno necessario delle forze che attualmente sono mobilitate contro l'inquinamento, né quel riscontro giudiziario che era doveroso e necessario.
Ma il punto resta sempre quello che stiamo sottolineando: la Procura non distingue le responsabilità dei padroni dai veri danneggiati della vicenda, operai, prima colpiti in fabbrica e ora a rischio del posto di lavoro. E non è vero che il compito dei magistrati è solo di applicare le leggi, in nessuna delle vicende giudiziarie che hanno riguardato eventi sociali così importanti è mai mancato un'analisi oggettiva e soggettiva del rapporto tra gestione della magistratura ed effetti sulla condizione di lavoro degli operai. Là dove questo è successo gli esiti sono stati nefasti: si è passati da Craxi a Berlusconi e si passa dalla chiusura dell'Ilva allo stato attuale di Bagnoli.
L'autonomia operai e il sindacalismo di classe affrontano il problema non all'insegna del primato della magistratura e del cretinismo giudiziario, ma della lotta operaia e delle masse popolari che rispondono ai danni e si difendono dai danni del capitale e dello Stato e costruiscono la forza materiale per il cambiamento reale attaccando il capitale e la legge del profitto che ne è alla base.

In questo senso, se siamo chiaramente d'accordo con la denuncia del fronte ambientalista i cui temi sono stati da noi tante volte anticipati e affrontati con la lotta – vedi morti per il lavoro, Palazzina Laf, caso Nuova Siet, Rete nazionale per la sicurezza su scala anche nazionale che ha contribuito ben prima degli ambientalisti a fare dell'Ilva un caso nazionale -, combattiamo invece apertamente gli esiti illusori e perdenti della posizione “chiudiamo ml'Ilva e lo Stato si occupi degli operai licenziati”. Inutile, poi, sprecare frasi per idioti che dicono “non ci frega niente del lavoro a noi basta il reddito”, ecc.

In questa lotta bisogna realizzare l'unità di classe e unità popolare, in primis contro Riva e lo Stato dei padroni, in alternativa al sindacalismo confederale collaborazionista, e in lotta netta contro lavoratori guidati da capi al servizio di padron Riva e ambientalismo della piccola e media borghesia che sostiene il capitalismo senza le sue brutture e inevitabili conseguenze.

lunedì 6 agosto 2012

pc 5-6-7 agosto - notiziario ilva 1- slai cobas per il sindacato di classe Ilva taranto

notiziario ilva taranto 1 -
5 agosto

0ggi si vive in fabbrica un clima di attesa, si aspetta il verdetto del riesame, per sapere se il sequestro prosegue e le operazioni di fermo degli impianti vanno avanti, oppure se siamo di fronte ad una nuova decisione - il riesame dovrebbe esprimersi entro mercoledì.
Gli operai intanto in fabbrica si preparano a rispondere a queste decisioni, se il riesame conferma il sequestro, si respira aria di rivolta.
Lo slai cobas ilva con la parola d'ordine 'operai in fabbrica, padroni in galera' è dentro questa realtà e si sta organizzando per giovedì per rispondere a ogni situazione.

Intanto un altro filone d'inchiesta quello per corruzione, ha reso pubblico, quello che noi in prima persona già sappiamo e denunciamo, ma per il quale non abbiamo avuto finora prove documentarie e testimonianze, anche quelli che in tutti gli ambienti ci hanno informato poi non si sono voluti esporre.
Lo slai cobas è una delle principali vittime di questa attività di corruzione, perchè nel processo Nuova Siet-ILVA da noi  intentato e vinto con slai cobas e 150 operai come parte civile,con condanna di Riva a quattro anni - condana che lo avrebbe già portato in galera molto prima - la corte di appello ha annullato la sentenza e fatto in modo che questo verdetto arrivasse il più tardi possibile, con la conseguenza che quando abbiamo rivinto in Cassazione, con nuova condanna a Riva questa non era eseguibile per intervenuta prescrizione.
Il passaggio alla Corte di appello e la sentenza sono il frutto dell'attività di corruzione del dirigente Archinà verso il giudice, lo sappiamo con certezza ma eravamo i soli a dirlo pubblicamente.
La corruzione riguarda inoltre politici, giudici, funzionari, sindacalisti....
Un primo elenco di nomi lo produrremo, confortati da questa inchiesta molto presto.

Ci sono novità anche sul fronte sindacale, alcuni delegati operai ex fiom con centinaia di operai al seguito, avevano aderito alla cisl dopo aver partecipato ad assemblee con lo slai cobas, perchè volevano per agire una copertura sindacale, che attualmente lo slai cobas non poteva garantire, promettendo che il passaggio sarebbe venuto in occasione delle elezioni rsu, noi naturalmente non abbiamo condiviso questa scelta e l'abbiamo criticata anche pubblicamente- alcuni di questi  hanno partecipato alla contestazione di giovedì scorso e in particolare Rizzo - uno dei più noti insieme a Ranieri che il 12 luglio dopo un periodo di iscrizione allo slai cobas - fortemente contrastato in azienda da padrone e capi con persecuzione sistematica - ha seguito la scelta di Rizzo.
Ebbene ieri la cisl ha sospeso Rizzo dal sindacato, per aver partecipato alla contestazione.. quindi questa strada entrista di copertura è giunta al termine. Ora si potrà comprendere che c'è un solo modo per proseguire l'attività in fabbrica che è quella che avevano già seguito all'inizio - costruire il cobas e battersi per il suo riconoscimento sino alla battaglia per le rsu.

Si riunito oggi in una lunga riunione il comitato provinciale dello slai cobas per valutare la situazione ed
esaminare il da farsi. La riunione ha definito il piano di azione immediato in fabbrica, sui posti di lavoro e in città e ha visto anche aspetti critici e autocritici  in relazione alla manifestazione di giovedì scorso, che sono tradotti in documenti e volantini che il Cobas diffonderà in fabbrica e in città e che verranno via, via esposti anche in internet. Lo slai cobas parteciperà con operai e militanti all'attività del Comitato lavoratori e cittadini liberi e pensanti' che ha portato avanti la contestazione di giovedì 2 agosto, accettando le regole interne del comitato per sostenere con forza la linea di classe- contrastando le posizioni  interclassiste e puramente ambientaliste presenti  nel comitato stesso.
Intanto è immediatamente partita la campagna contro le denunce

Lo Slai Cobas per il sindacato di classe esprime massima solidarietà ai 41 cittadini e operai denunciati

per le contestazioni durante la manifestazione di giovedì 2 agosto.

E' impensabile che in un momento decisivo per le sorti di una città intera non soltanto si impedisca di parlare,

ma si cerchi anche  di intimorire attraverso una serie di denunce coloro che legittimamente si ribellano.

In una democrazia il diritto alla parola è sacrosanto,esattamente come il diritto alla salute e al lavoro.

Consideriamo indegno e incomprensibile il comportamento della magistratura e della polizia proprio mentre vengono alla  luce 

accordi scellerati tra i riva e dirigenti ilva 

e coloro che erano preposti per i controlli,le mazzette a scapito della sicurezza e la salute dei cittadini.

Gli stessi operai avvelenati e sfruttati a cui non è stata data la parola,  vengono ora denunciati,come a completare quel clima di 

corruzione e intimidazione che ha portato a questa situazione.

La nostra posizione è 

OPERAI IN FABBRICA RIVA E GLI ALTRI CRIMINALI IN GALERA !

 SLAI COBAS per il sindacato di classe Ilva
Taranto 5.8.12