mercoledì 24 ottobre 2012

pc 24 ottobre - governi imperialisti ..armi o ospedali ? ..armi e per l'italia in particolare aerei F35 !

Dal 2014 la fabbricazione di armi di distruzione verrà conteggiata a pieno nel computo del PIL dei singoli paesi. "Apparentemente si tratta di un cavillo tecnico",commenta Roberta Carlini, giornalista e collaboratrice di Sbilanciamoci, "ma la modifica apporterà dei cambiamenti sostanziali, dato che fino ad oggi esisteva una
differenza tra le spese militari che potevano avere anche un'utilizzo civile (caserme, strutture di vario genere) e quelle destinate invece a materiali che si distruggono nell'uso. Fino ad ora le spese di questo secondo ordine venivano calcolate nel PIL per una percentuale che non superava il 60%, dal 2014 lo saranno
nella loro interezza. "

La modifica viene dalle Nazioni Unite e i diversi istituti statistici (Eurostat edIstat per quanto riguarda Europa ed Italia) sono già al lavoro per darle applicazione. Gli effetti che è possibile prevedere parlano per un verso di un incredibile potere consegnato alle lobby di produttori, potere che potrà ragionevolmente orientare le politiche industriali e belliche. D'altro canto bisogna capire cosa questo determinerà sui PIL dei diversi paesi e sul rapporto tra deficit e PIL. "In un primo momento", continua Roberta Carlini, "questo potrebbe
alleviare iconti di molti paesi, ma in prospettiva potrà avere effetti nefasti. Questa vicenda
va inquadrata nel dibattito a livello europeo sulle spese fatte per investimenti e sulla possibilità di sottrarle al computo del deficit. Se la produzione di armi di distruzione verrà iscritta a tutti gli effetti nelle spese per investimenti, equiparandola alla costruzione di ospedali e infrastrutture, saranno  avvantaggiati i paesi che producono armi."

La produzione di armi gode di un generale occhio di riguardo anche in epoca di spending review e di tagli alla spesa pubblica. Ad esempio nessuno ha chiesto alla Grecia di ridurre la propria spesa militare, piuttosto ingente. L'orizzonte che piùconcretamente si profila è quello di un ulteriore scollamento tra gli indicatori
economici e il reale tasso di benessere e sviluppo di un paese.

Sulle spese militari, il Ministro dà i numeri Gianni Alioti - Fonte: Unimondo - 27 febbraio 2012
Nel documento sui cento giorni del Governo Monti si sostiene che la spesa per la Difesa in Italia, in rapporto al PIL, è la più bassa d'Europa. Da un Governo fatto di tecnici e professori ci si aspetterebbe, almeno, che sappiano "far di conto". Invece in questo caso, come sul costo dei caccia-bombardieri F35 e sulle ricadute  occupazionali del programma, stanno "dan do i numeri".
Con un'operazione contabile che ricorda molto la "finanza creativa" con la quale si è portato il nostro debito pubblico al 120 per cento del PIL, nel documento si afferma- con "bocconiana" altezzosità - che le spese militari in Italia sarebbero solo lo0,90 per cento del PIL contro una media Ue del 1,61 per cento.
Quale sia la fonte e il modello comparativo adottato non è dato saperlo. Possiamo,però, intuirlo e dare una "picconata" alla presunta serietà di questo Governo, almenoin faccende militari e di armamenti.
Questo numero magico (lo 0,9 per cento) non è nuovo. Lo stesso Ammiraglio Di Paola,passato in tutta fretta dal comando della NATO al ruolo di Ministro della Difesa lo aveva usato in precedenti occasioni, per cercare che la scure del rigore non si abbattesse pesantemente sulle "alte uniformi" e sugli approvvigionamenti
militari.Peccato che sia proprio la NATO (e non Anonymous) a smentire quel numero.La NATO nel suo report, "Financial and Economic Data Relating to NATO Defence"pubblicato il 10 marzo 2011 e accessibile a chiunque, confronta la spesa militare dei paesi che partecipano all'Alleanza Atlantica dal 1990 al 2010. Ovviamente lo fa riclassificando i criteri contabili e gestionali di ciascun paese in modo che le voci
di spesa incluse nell'analisi comparativa siano le stesse. Non c'è bisogno di avere un dottorato in Economia alla Bocconi per sapere che non si possono comparare "melecon pere".
La NATO per dare maggiore attendibilità al confronto tra i paesi, oltre a calcolare il peso delle spese militari sul PIL su base annuale, fa una comparazione dei valori medi in un arco temporale di cinque anni.
Che cosa è evidente dai dati forniti dalla NATO?
1. La spesa militare in Italia in rapporto al PIL (a prezzi correnti) non è la più bassa dell'Unione Europea, come scritto nel documento ufficiale della Presidenza del Consiglio, "Governo Monti: attività dei primi cento giorni". Non solo è maggiore del "magico" 0,9%, ma è superiore al dato di Germania e Spagna (per restare ai paesi territorialmente comparabili al nostro). E' vero che Francia e Regno Unito spendono di più dell'Italia, ma non possiamo dimenticare che questi paesi, oltre ad essere membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, hanno propri arsenali nucleari i cui costi di semplice mantenimento e messa in sicurezza sono enormemente alti.Rimane la Grecia, il paese più spendaccione - in campo militare - dell'intera UE inrapporto al proprio PIL. Non mi sembra, però, un caso virtuoso da prendere ad esempio per riformare il sistema di Difesa in Italia e ridurre il debito pubblico.
2. Anche i dati per l'anno 2010 (i più recenti in ambito NATO) confermano che la spesa militare in Italia in rapporto al PIL (a prezzi correnti), pur escludendo la quota destinata all'Arma dei Carabinieri, non è la più bassa dell'UE. L'Italia è al 1,4%, come la Germania e più della Spagna (1,1%), mentre la media NATO dei
paesi europei è al 1,7%, di poco superiore a quella italiana.
3. Infine, se compariamo non i valori statici, ma il trend - cioè la variazione nel tempo - l'Italia è uno dei paesi europei che meno hanno ridotto il peso delle spese militari in rapporto al PIL nell'arco di venti anni: in Francia questo rapporto si è ridotto del 30%, in Germania del 38%, in Grecia del 28%, nel Regno Unito del
32%, in Spagna del 25%, mentre in Italia del 20%.Se permangono dei dubbi sulle fonti, consiglio di verificare non il sito della Rete Italiana Disarmo, ma quello della Central Intelligence Agency (sì, proprio
la CIA).Nella sua pubblicazione "The World Factbook", c'è l'elenco della spesa militare di ciascun paese (non solo NATO) in rapporto al proprio PIL. L'Italia - secondo la CIA -spende l'1,8% del proprio PIL.
Il dato curioso è che, mentre i valori per molti paesi sono aggiornati al 2009,quello dell'Italia è fermo al 2006. Non certo perché la CIA non ha accesso alle tabelle NATO. Più semplicemente perché non ha ritenuto corretto che dal 2007 la NATO non abbia più considerato le spese per l'Arma dei Carabinieri. Scelta alquanto discutibile fintanto che quest'ultima dipenderà dal Ministero della Difesa e sarà
impiegata in scenari di guerra, come i contingenti di Esercito, Marina eAeronautica.
Dello stesso parere è il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) -il prestigioso istituto svedese indipendente - che nel monitorare le spese militari nel mondo, secondo una metodologia corretta, che stabilisce di includere ed escludere le stesse cose nei dati di ciascun paese, certifica che l'Italia spende in
media nel periodo 2005-2009 l'1,8% del PIL. E' solo lo 0,2% in più dei dati NATO ma un valoredoppio rispetto a quello dichiarato dal Governo italiano.
Com'è possibile un divario così ampio? La ragione è semplice. Lo 0,9% è il risultato di una manipolazione contabile che sottrae dal calcolo delle spese militari, le voci del bilancio del Ministero della Difesa destinate alle pensioni e accantonamenti obbligatori, alle funzioni esterne (es. l'impiego dei militari in interventi
diprotezione civile) e all'Arma dei Carabinieri (in totale più di un terzo del budget).
Nello stesso tempo non computa né il fondo per le missioni internazionali (1,640miliardi di euro nel 2011), ascritte in bilancio al Ministero dell'Economia e Finanze, né i fondi ascritti al Ministero dello Sviluppo Economico per finanziare programmi di nuovi sistemi d'arma (2,248 miliardi di euro nel 2011).
Lo 0,9% corrisponde, quindi, solo alle spese di personale, esercizio e investimento a bilancio del Ministero della Difesa, mentre le spese - pur espressamente militari -sostenute da altri dicasteri non sono calcolate.
Non si tratta, qui, di discutere sulla necessità di una riclassificazione della spesa militare per arrivare ad una definizione standard comunemente accettata a livello internazionale. Ciò che non si può accettare è l'operazione strumentale con cui il Governo italiano, mentre arbitrariamente esclude dal calcolo delle spese
militari la voce pensioni e non include i fondi delle missioni internazionali, lo fa solo per l'Italia e non per gli altri paesi, finendo per comparare "mele con pere".
Gianni Alioti. Ufficio Internazionale Fim-Cisl

Vola il prezzo degli F-35
Eleonora Martini, il manifesto 17 ottobre 2012

Decollano verticalmente i prezzi dei cacciabombardieri che l'Italia ha programmato diacquistare. Per pagare, si risparmia sulla scuola pubblica. Il segretario generale del ministero ammette: «Ci costeranno il doppio»
Debertolis rettifica i dati ufficiali del governo presentati alla Camera nel febbraio scorso La notizia ora è ufficiale: i 90 cacciabombardieri Lockheed Martin F-35 che l'Italia ha deciso di comperare costeranno più del doppio di quanto dichiarato dal ministero della Difesa in un'audizione ufficiale alla Camera nello scorso
febbraio.
Lo ha ammesso con nonchalance lo stesso segretario generale del ministero della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti, il generale Claudio Debertolis,raccontando in un'intervista pubblicata dal magazine Analisi Difesa i dettagli del nuovo programma italiano di acquisto del Joint Strike Fighter, dopo il taglio di 41
unità deciso a febbraio dal governo Monti.
Debertolis chiarisce che il prezzo di 80 milioni di dollari per ciascuno dei primitre F-35 di tipologia A, quelli a decollo convenzionale (previste 60 unità), si riferiva «a una pianificazione ormai superata dalle vicende del programma e verteva sul solo aereo "nudo". Aggiornando i prezzi e aggiungendo tutte le altre voci di
spesa - riferisce Debertolis nell'intervista - il costo di questi primi Jsf italianiin realtà sarà più del doppio». Non solo: Debertolis ha anche ammesso che «l'impianto Faco sulla base aerea novarese (Cameri, ndr) partirà a regime ridotto con inevitabili aggravi di costo cui si aggiunge per il governo italiano, che li ha spesi,
l'onere di recuperare i circa 800 milioni di euro investiti per realizzare la struttura». Chi ciguadagna, invece, rivela ancora il generale, è Finmeccanica che, insieme alle altreaziende che partecipano al programma, ha una prospettiva di «ritorno industrialecomplessivo entro il 2026 di circa 13 miliardi di dollari, pari al 77% del
nostroimpegno finanziario globale nel programma».
«Le bugie volano basse», è il commento della Rete italiana per il Disarmo che dà grande risalto alla notizia e rivendica giustamente di sostenere «da sempre una forte e sospetta sottostima dei costi dichiarati dal nostro governo per l'acquisto di questi aerei». Per la campagna «Taglia le ali alle armi» contro l'acquisto
degliF-35, la Rete per il Disarmo aveva raccolto le firme di 77 mila cittadini, 660 associazioni e il sostegno di oltre 50 enti locali, tra regioni, province e comuni.Eppure il ministero della Difesa, e l'Aereonautica in particolare, avevano sempre«cercato di gettare acqua sul fuoco delle polemiche e delle richieste di
chiarimento provenienti in particolare dalla nostra Campagna», come ricorda Francesco Vignarca,
coordinatore di Rete Disarmo.
«In 11 anni - afferma ancora Debertolis nell'intervista rilasciata ad Analisi Difesa- il costo del programma Jsf è aumentato a una media giornaliera di 40 milioni di dollari». L'Italia, spiega il generale di Squadra aerea, comincerà ad acquistare i 30esemplari di F-35B, i cacciabombardieri a decollo corto e atterraggio
verticale, «ilcui contratto d'acquisto è previsto nel 2015» - e per il quale, è il caso ora di ribadirlo, non esistono penali in caso di rescissione del contratto - «quando,secondo le previsioni del bilancio della Difesa 2013 dalla Casa Bianca, il costo medio dell'aereo "nudo" sarà di 137,1 milioni di dollari (106,7 milioni di
euro,ndr), per scendere poi a 125,1 nel 2016 e a 118.8 nel 2017». Mentre per gli F-35A, icui primi tre esemplari usciranno dalla catena di montaggio di Cameri nei primi mesi del 2015, «per la sola configurazione standard (quindi con tutta una serie di elementi ancora da aggiungere) - puntualizza la Rete per il Disarmo - si
parla di uncosto tra i 100 e i 107 milioni di euro, cioè oltre il 25% in più di quantodichiarato a febbraio 2012 dagli stessi esponenti della Difesa».
Purtroppo, è un vecchio vizio italiano che ha contagiato anche il governo dei super-tecnici votati al rigore (degli altri), quello di veder crescere costantemente i costi dichiarati ufficialmente al Parlamento italiano per giustificare la decisione: «È già avvenuto nel passato per altri aerei, come a suo tempo il Tornado e
poi l'Eurofighter», ricorda Maurizio Simoncelli dell'Archivio Disarmo che chiede ora al governo di riferire con urgenza al Parlamento e di «mostrare senso di responsabilità almeno nei confronti dei cittadini italiani costretti a fortisacrifici, terminando questa serie di dati parziali e rivendendo la propria decisione». Anche perché, come spiega sempre il segretario della Difesa Debertolis,«il Pentagono è preoccupato fra l'altro per le difficoltà di sviluppo del software dell'aereo, la non corretta pianificazione dei collaudi, la vulnerabilità aicyberattack del sistema logistico integrato, e da ultimo, dopo la distruzione in Afghanistan di 8 Harrier schierati su una base avanzata da parte di una pattuglia appiedata di Talebani, per le prospettive operative della versione Stovl (F-35B,ndr)».


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