domenica 24 giugno 2012

pc 24 giugno - sullo sciopero dei sindacati di base del 22 giugno


Le organizzazioni sindacali di base, con l'assenza in questa occasione dell'adesione, promozione dello Slai cobas e l'aggiunta invece della Cub, hanno promosso il 22 giugno uno sciopero generale e due manifestazioni, a Roma e a Milano, contro la riforma del lavoro in via di approvazione alla Camera e più in generale contro l'attacco del governo Monti ai lavoratori.
Si è trattato di una scelta necessaria e dovuta per dare un segnale e fare appello ai lavoratori a rispondere a questi attacchi.
Questo è importante se si tiene conto che proprio in questi ultimi giorni la Cgil della Camusso ha definitivamente abbandonato l'idea di uno sciopero generale contro la riforma del mercato del lavoro e l'attacco all'art. 18. I sindacati confederali, Cgil compresa, sono un puntello del governo, il nesso indissolubile tra PD e direzione attuale della Cgil, a livello nazionale e locale, fa di questa organizzazione il punto forte del governo e il punto debole dei lavoratori. E questo è all'origine della sostanziale mancata opposizione sindacale nazionale dei lavoratori alla politica del governo.
La Fiom nel suo vertice e nella maggioranza delle sue componenti interne e della base ha una posizione diversa dal vertice della Cgil e dal PD e, quindi, in questi mesi ha prodotto in diverse parti d'Italia alcuni scioperi combattivi e con buona partecipazione degli operai. Ma anche qui il legame indissolubile tra direzione Cgil e Fiom, nonostante le divergenze, crea una sorta di catena di S. Antonio che lungi dal permettere lo spostamento sul terreno della lotta della Cgil, rende tutto molto più confuso, ambiguo e questo si riflette nelle lotte degli operai e dei lavoratori.
E' giusto quindi sottrarsi a questa catena con lo sciopero, le manifestazioni, l'appello alla lotta,

Ma questa strada era stata già percorsa il 27 gennaio scorso, non si può fare a mesi di distanza sostanzialmente la stessa cosa senza crescere in peso, forza, e senza mutarne forme di lotte e impatto.
In questo senso la mancata adesione nostra a questo sciopero, abbastanza marginale nell'influenza che può avere nell'insieme dell'area, ha però lo stesso significato di dare un segnale, fare un appello per un cambiamento della strada del sindacalismo di base e di classe.
Lo sciopero è riuscito realmente solo nei trasporti e nelle due grandi città delle manifestazioni, molto bene! Ma non si può vivere sugli scioperi nei trasporti. Le manifestazioni di Roma e Milano hanno visto la partecipazione di migliaia di lavoratori, al di sotto però dei numeri dichiarati.
Positivo è stato che a Milano abbiano potuto prendere la parola avanguardie di lotta, come gli operai immigrati di Basiano, fatti segno della violenza poliziesca e padronale – ma su questo c'era già stata una manifestazione a Milano che avrebbe richiesto ben altra partecipazione del sindacalismo di base e di classe.
Nell'esprimere questo giudizio sappiamo bene dell'abitudine degli attuali dirigenti dei sindacati di base di fare dichiarazioni autosoddisfacenti in pubblico e sulla stampa, a cui far seguire commenti liquidatori verso la mancata partecipazione dei lavoratori nei giorni successivi, dove segue un tran tran sindacale in attesa di un prossimo “sciopero e manifestazione” nazionale.
Il rimedio dei dirigenti del sindacalismo di base a questa situazione spesso è peggiore del male. La questione sta invece nei termini che noi affermiamo. Dopo il 27 gennaio bisognava dare vita ad una mobilitazione prolungata, nazionale e locale che puntasse sempre all'assedio dei Palazzi, delle sedi confindustriali e delle sedi del sindacalismo confederale, che sviluppasse contrasto, tensione, polarizzazione, e si offrisse come punto di riferimento reale di uno scontro generale intorno a cui si accumulasse forza e crescita del sindacalismo di base come unico referente nazionale reale.
Questo non si è fatto, né si è voluto fare, per linee e concezioni tradizionali del sindacalismo di base, che se permettono una tenuta di questa realtà ne ipotecano la crescita reale e il salto di qualità. Questo trova le sue radici anche nel livello di analisi della situazione, che in realtà è approssimativo e in alcuni casi sbagliato - vedi il peso che viene dato alla 'speculazione'. Ma sono le forme con cui ci si organizza e si vuole combattere la battaglia generale che oggi non sono all'altezza delle necessità. Il sistema per categoria è una questione secondaria, serve la rete delle fabbriche, al di là delle sigle sindacali, e coinvolgente pezzi della Fiom che esercitano lotte, serve il coordinamento dei precari e delle realtà dei disoccupati che si battono per il lavoro e il salario garantito, serve l'unità nella lotta contro la repressione all'insegna “se toccano uno toccano tutti”, parola d'ordine e pratica che invece sembrano una eresia nel costume, nel metodo, nel lavoro quotidiano di queste organizzazioni sindacali; così la rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro è un'arma che non viene impugnata dal sindacalismo di base e di classe.
La costruzione di uno sciopero generale senza questa visione, questi strumenti è impossibile. Il cambiamento di ritmo, il salto di qualità nella lotta senza cambiamento delle forme di lotta e delle forme di organizzazione è una pura illusione. Il sindacalismo di base e di classe nella sua dinamica nazionale così è al di sotto e più arretrato delle lotte, dei focolai di lotte che si sviluppano nel paese e che spesso vedono impegnati lavoratori iscritti e attivi negli stessi sindacati di base.
Infine, al di là delle promesse e degli annunci non si assumono come caratteristiche dello sciopero generale il blocco, gli assedi, dove mettere a frutto le lezioni in positivo, sottraendole ad iniziative episodiche, di numerose fasi delle battaglie sindacali e politiche degli ultimi periodi.
L'unità del sindacalismo di base e di classe è un'assoluta necessità ma obiettivamente essa è il frutto di una lotta sui temi che l'esperienza pone.
Guardando alle scadenze dell'autunno è necessario decisamente avanzare su questa strada.

Proletari comunisti

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