mercoledì 18 aprile 2012

pc 18 aprile - la barbarie del sistema


Suicidi Rapporto Eures: una vittima al giorno tra chi ha perso il lavoro, rischi maggiori per esodati e imprenditori

Quello dei suicidi al tempo della crisi è un tema entrato ormai di prepotenza nelle cronache quotidiane italiane e internazionali. Lo testimonia il secondo Rapporto dell'Eures “Il suicidio in Italia al tempo della crisi” in base al quale soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati. Nettamente superati i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra il rischio suicidario e l’integrazione nel tessuto sociale.

Il lavoro che non c'è uccide - Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l'incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente). La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro. Considerando la sola componente maschile, l'aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora più preoccupante (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell'identità e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall'impossibilità di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia.

Imprenditori autonomi: 336 casi nel 2010 - Ma la gelata economica ha i suoi effetti negativi non solo sul lavoro subordinato e sui senza lavoro ma anche nella sfera del lavoro autonomo, inducendo al suicidio anche molti artigiani, commercianti e piccoli imprenditori autonomi: secondo l'Eures nel 2010 questi sarebbero stati ben 336, contro i 343 del 2009. Lo studio definisce infatti "molto alto il rischio suicidario" in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all'impatto della crisi.

Artigiani e commercianti depressi - In dettaglio, nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino "indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali".

Rischio maggiore tra imprenditori e disoccupati - Secondo lo studio però i rischi di suicidio nei momenti di difficoltà economica sarebbero più alti tra disoccupati e imprenditori, meno invece tra i dipendenti. Infatti, considerando l'indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l'indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica Amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito. Meno suicidi fra i dipendenti - Seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i "più tutelati" lavoratori dipendenti (4,5). Soltanto di poco più alto, infine, l'indice di rischio suicidario degli inattivi (pensionati, casalinghe, studenti, eccetera).

Più suicidi fra i separati - Lo spettro della povertà è anche alla base di numerosi atti estremi da parte di separati e divorziati, ambito che sarebbe a rischio suicidio 15 volte oltre la media soprattutto tra gli uomini. Non a caso, rileva l'Eures, nel 2010 si sono contati 33,8 suicidi ogni 100 mila abitanti separati o divorziati (66,7 tra gli uomini a fronte di 11,8 tra le donne). Assai distanziati i casi di suicidio che hanno riguardato i vedovi (8,6 casi ogni 100 mila abitanti, che sale a 35,5 tra gli uomini a fronte di 3,6 tra le donne) e, con ampio scarto, dai coniugati (4,2) e da celibi e nubili (4,1).

Nella fascia esodati +12,6% - La crisi pesa e l’addio alla vita è sempre più in agguato nella fascia dei cosiddetti esodati, vale a dire tra coloro che hanno tra i 45 e i 64 anni, facendo segnare un incremento di casi del 12,6% nel 2010 rispetto al 2009 e del 16,8% rispetto al 2008. L'incremento dei suicidi in questa fascia di età - sottolinea lo studio realizzato su dati Istat - è legato alla vulnerabilità in termini occupazionali delle persone alle prese con gravi difficoltà di ricollocazione lavorativa. Ma la disoccupazione è anche alla base dei suicidi nelle fasce di età tra 45 e i 54 anni, aumentati del 13,3% rispetto al 2009, e in quella 55-64 anni (+10,5%); il tutto a fronte di una crescita complessiva dell'8,1%. "Ed è proprio in questa fascia che si concentra anche il problema dei cosiddetti esodati - sottolinea Eures - ovvero di quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l'attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico (in attesa di interventi correttivi), rischia di lasciare totalmente privi di reddito".

Più inclini al suicidio i maschi tra i 45 e i 65 anni - Consistente, tra il 2008 e il 2010, anche l'aumento dei suicidi tra gli over 64 (+6,6%), nella fascia 18-24 (+6,5) e, in misura inferiore, in quella 25-44 anni (+2,3%). Più in generale si conferma la correlazione diretta tra età e 'propensione al suicidio', con un indice pari a 8,5 suicidi ogni 100 mila abitanti tra gli over 64, a 6,6 nella fascia 45-64 anni, a 4,6 in quella 25-44, a 2,6 nella fascia 18-24 e a 0,2 tra i minori. In termini generali, evidenzia l'Eures, il fenomeno del suicidio nel nostro Paese si è declinato nel 2010 in prevalenza al maschile, con 8,2 suicidi ogni 100 mila abitanti, tendenza che è andata rafforzandosi a partire dal 2007 (quando l'indice era pari a 7,7).

In Lombardia il record - nel 2010 i suicidi sono notevolmente aumentati nelle regioni del Centro-Nord, ma a livello territoriale il triste primato se lo è aggiudicato la Lombardia (con 496 casi, +3% rispetto al 2009), seguita dal Veneto (320, pari al 10,5% del totale, con un aumento del 16,4% sul 2009) e l'Emilia Romagna (278, 9,1%). Oltre la metà dei suicidi censiti in Italia, informa lo studio, avvengono in una regione del Nord (1.628 casi nel 2010, pari al 53,4% del totale), a fronte del 20,5% al Centro (624 casi) e del 26,1% al Sud (796 casi). Anche in termini relativi il Nord conferma i valori più alti, con 5,9 suicidi ogni 100 mila abitanti, a fronte dei 5,3 del Centro e dei 3,8 del Sud.

Valle d'Aosta in cima alla nefasta classifica in termini relativi - Ma è il Centro Italia a registrare nel 2010 la crescita più consistente (+11,2% sul 2009, che sale a +27,3% nel Lazio, con 266 suicidi), a fronte di un +1,8% a Nord e di un calo del 3,5% al Sud. In termini relativi (media 2006-2010) è tuttavia la Valle d'Aosta a guidare la graduatoria del rischio suicidario (con 9,2 suicidi ogni 100 mila abitanti), seguita dal Friuli Venezia Giulia (9) e dalla Sardegna (8,9). A livello provinciale (media 2006-2010) il valore più alto si rileva a Vercelli (15 casi per 100 mila abitanti), Belluno (12,9), Ogliastra e Sondrio (12,7), mentre il valore più basso si rileva a Napoli (1,1).

17 aprile 2012

Redazione Tiscali

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