giovedì 1 marzo 2012

pc 1 marzo - infamie di stato, governo, partiti parlamentari, sindacalisti di merda, stampa embedded contro il movimento NOTAV


i pennivendoli scrivono

..E adesso qualsiasi cosa scriveremo sarà ritenuta scorretta per definizione, «infame» o peggio, al servizio di qualche potere forte o della nostra cattiva coscienza. Perché questo ha decretato il giorno peggiore della storia No Tav. La definitiva impossibilità di essere persone e confrontarsi. Barricate dentro al cuore. Odio. Dopo la battaglia sull’autostrada, restano sulla scena fuochi spenti, bulloni, insulti e categorie. Gli sbirri ignoranti «con i loro stipendi miserabili». «Le pecorelle in divisa che ti attaccano le malattie».

I giornalisti venduti. I giornalisti No Tav. Una grande mafia indistinta che circonda tutto e tutti: «Non la vedete, c...? Sono gli stessi che hanno bruciato le nostre auto. Siete dei servi». Ci sono giornate che si annunciano in ogni particolare, come quella di ieri. Per raggiungere le tende del manifestanti e arrivare al centro della protesta, bisogna lasciare la macchina sui prati poco dopo San Giorio, saltare due barricate di tronchi e imboccare a piedi il raccordo autostradale. Dieci minuti di camminata. All’ora di pranzo non c’era molta gente al presidio. Un avamposto di ragazzi giovani vestiti di nero. Ci hanno chiesto di mostrare i documenti, come a una frontiera. Poi li abbiamo osservati allontanarsi per un conciliabolo. Soppesare il nome della testata e della persona. Osservare le nostre scarpe e la giacca. Litigare in disaccordo, fino alla decisione: «Vai. Ma non azzardarti a fare fotografie. Chiaro?». In effetti, poco più avanti, c’era una scena che avrebbe meritato di essere documentata. Ma non ci siamo azzardati. Anche perché erano già stati allontanati a male parole tutti i colleghi con la Reflex al collo. Gli stessi che il giorno prima, invece, erano stati in prima linea - dove sempre stanno i fotografi - fra gli agenti e i manifestanti, quasi a garanzia delle regole di ingaggio. Ma ieri era una giornata diversa. Cupa e tesa.

Quaranta ragazzi hanno circondato un furgone nei prati. Erano convinti che le due persone che armeggiavano lì vicino fossero agenti della Digos, intenti a captare con lunghi microfoni direzionali le loro strategie segrete. Qualche ragione di fraintendimento potevano averla. Avevano notato uno zaino nero all’interno del furgone. Antenne satellitari. Anche una sirena blu, tipica delle forze dell’ordine. Li hanno circondati. Per farsi dare le chiavi, hanno malmenato uno dei due. Poi c’è stato una specie di processo sommario in mezzo ai campi. «Chi siete?». «Cosa c... state facendo?». «Dovete spiegarci questa attrezzatura». «Siete sbirri?». Erano due operatori di un service giornalistico che si chiama H24. Li avevamo visti al lavoro nei giorni scorsi, accettati fra gli altri. I loro servizi in video finivano sul sito del «Corriere della Sera». Ma di colpo si erano trasformati nella personificazione del male assoluto: «il giornalista sbirro». E il fatto che potessero essere due poliziotti, cioè pubblici ufficiali, non era un motivo per andarci più cauti, ma un incentivo alla rabbia. Li hanno lasciati andare dopo trenta minuti, fra insulti, sberleffi e minacce: «Dacci il nastro, altrimenti...». Uno di loro, picchiato e in lacrime, poi ha raccontato: «Mi hanno mostrato un coltello...». Erano solo le tre di pomeriggio.

Per quanto il movimento No Tav detesti le distinzioni al suo interno, a noi sembra il caso di farle. Almeno tre anime grandi diverse vanno messe a fuoco: valsusini, autonomi, anarchici. Ieri dominavano gli ultimi. La componente minoritaria, i ragazzi vestiti di nero. Quelli in guerra con il mondo, quelli che ti guardano con occhi pieni di disprezzo appena scoprono che non sei uguale a loro. Gli stessi che potresti incontrare altrove, su altre barricate. Perché non hanno altro progetto politico che la contestazione «del sistema». Torino li conosce bene. Sono gli stessi che lanciavano le pietre contro il Palazzo di Giustizia nel 1998, dopo il suicidio in carcere degli anarchici Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas. Tre anime diverse, dunque. Tre diverse «modalità operative». E il potere di integrarle - e calmierarle - in questi anni è sempre stato affidato ad Alberto Perino fra i valsusini e agli autonomi del centro sociale Askatasuna. Ieri però sono mancati entrambi, nelle prime fasi della giornata. Così ognuno ha deciso per sé. E poi tutti abbiamo sentito il rotore dell’elicottero della polizia, alto dentro a un cielo limpido di primavera. E tutti abbiamo capito quello che stava per accadere. Polizia e carabinieri stavano arrivando in forze per liberare l’autostrada. In quei frangenti spaventosi di distanze che si accorciano, i ragazzi vestiti di nero hanno alzato sciarpe e cappucci sulla testa, hanno ammonticchiato pietre e bulloni. In una fredda attesa di guerra.

Lo schema è stato questo: idranti e lacrimogeni da una parte, pietre e insulti dall’altra, devastazione tutto intorno. Ma senza un solo contatto fisico, almeno all'inizio. Senza una sola manganellata. Fino a quando venti irriducibili si sono stesi sull’autostrada per farsi portare via a forza. Le tre anime del movimento erano ancora rappresentate, con l’aggiunta del sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi. E tutti urlavano e insultavano, scandivano il nome di Luca Abbà e applaudivano se stessi, pronti al sacrificio. «Voi non capite. Voi siete ignoranti. Vi stanno fregando. Voi siete qui per millequattrocento euro. Voi siete al servizio della mafia». Due poliziotti si sono girati stravolti, verso chi gli stava urlando contro: «Magari fossero 1400». È stato l’unico momento in cui si sono guardati negli occhi. Poi è ricominciata la battaglia. Fino a degenerare nel modo peggiore.

un commento
Di infamie contro la lotta no tav in questi giorni ne stiamo leggendo e sentendo tante, troppe. Dagli insulti a Luca Abbà – ancora più infami date le condizioni in cui versa – alla criminalizzazione di donne e uomini che lottano per la difesa della Valsusa contro mafie e nocività.

Ma evidentemente non basta: su tutti i quotidiani di oggi si attribuisce alla lotta No Tav la responsabilità della perdita di una porta da un treno in corsa. Eppure sono anni che i ferrovieri denunciano le "porte assassine" e la mancanza di dispositivi di sicurezza sui treni delle ferrovie italiane. E vengono pure licenziati di conseguenza, come Dante De Angelis.

Bene, per una minima controinformazione in questo paese di pennivendoli, segue una lista di link da far girare.

ciao, Nic

http://www.macchinistisicuri.info/ms/docusicur/archivio/portevetture/segnalazioni.php
http://www.inmarcia.it/notizie-aim/archivio-2007/42-ferrovie-i-delegati-sui-treni-porte-assassine
http://www.macchinistisicuri.info/ms/archinews/2007/
http://www.cub.it/article/?c=convegni-e-manifestazioni&id=3941
http://www.lottaunita.org/index.php?view=article&catid=32%3Acapitalelavoro&id=103%3Atrenitalia-porte-assassine&format=pdf&option=com_content&Itemid=47

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