lunedì 24 ottobre 2011

pc 25 ottobre - INTERVISTA AL FPLP

pubblichiamo questa intervista pur non condividendo la posizione generale del Fronte, perchè la riteniamo utile al dibattito e all'orientamento nella siituazione attuale

Da indymedia

INTERVISTA AL FPLP

Su prigionieri palestinesi, l’accordo Hamas-Israele, le rivolte arabe, la linea dell'ANP sui negoziati …

Abu M è un militante di lungo corso del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina; ha 42 anni e di questi 11 ne ha trascorsi nelle prigioni israeliane. E’ stato arrestato 15 volte.

Lo abbiamo incontrato al campo profughi di Deisha e abbiamo parlato con lui dell’attuale situazione politica palestinese e del ruolo del FPLP in questa fase.

Qui di seguito la trascrizione dell’intervista:

All’indomani della conclusione della prima fase del rilascio di prigionieri che giudizio date dell’accordo di scambio raggiunto da Hamas e lo Stato sionista?

La liberazione anche di un solo prigioniero palestinese è già di per sé una vittoria.

Il dato nuovo rispetto al passato è che questa volta il prigioniero israeliano ha trascorso l’intero periodo di detenzione in territorio palestinese.

Il grande merito di questo accordo consiste nel aver ottenuto il rilascio di 1/3 dei detenuti condannati a più di un ergastolo; nelle carceri israeliane c’erano 820 prigionieri condannati a multipli ergastoli; ne sono usciti 320.

Detto questo, l’accordo raggiunto non è privo di criticità che con una gestione diversa si sarebbero potute facilmente evitare:

innanzitutto lo scambio è avvenuto in un momento estremamente inopportuno: sarebbe stato meglio posticiparlo a dopo la fine dello sciopero della fame iniziato quasi un mese fa dai prigionieri palestinesi.

Con tutta l’attenzione mediatica che comprensibilmente si è guadagnato, il rilascio dei prigionieri rischia di offuscare la lotta di centinaia di detenuti in sciopero della fame. Di questi la parte più cospicua è costituita da militanti del FPLP. 400 in tutto.

L’inopportunità politica del momento si evince inoltre anche dalla situazione di crisi che il governo Netanyahu attraversava prima dello scambio e che adesso proprio in virtù dell’incremento di popolarità legata al ritorno a casa di Shalit potrebbe risolversi positivamente per il governo sionista. La realizzazione dell’accordo potrebbe aver paradossalmente puntellato il malconcio governo Netanyahu.

Un altro punto debole dell’accordo consiste nel non aver ottenuto il rilascio di tutte le prigioniere (ne restano 9 in carcere) e di tutti i prigionieri che hanno già scontato più di 20 anni nelle carceri israeliane: tale risultato con meno fretta, si sarebbe potuto ottenere facilmente.

Oltre a ciò bisogna ricordare che tra i prigionieri liberati o in via di rilascio mancano quei nomi di rilevanza nazionale che Hamas aveva promesso.

Ancora: la maggioranza dei prigionieri rilasciati è di Hamas e i nomi dei 550 che saranno rilasciati nella seconda fase li sceglierà Israele.

Infine l’accordo ha legittimato l’esilio di molti prigionieri a Gaza (120 circa) o al di fuori dei confini nazionali(41 circa). Ciò costituisce un pericoloso precedente per il futuro.

Perchè questo accordo si verifica proprio oggi? Verrebbe quasi da pensare che Hamas, con questa operazione così a ridosso del probabile fallimento dell’iniziativa diplomatica di Abu Mazen all’Onu, abbia voluto approfittare per recuperare consensi su Fatah.

Questo non è ovviamente l’obiettivo dichiarato da Hamas ma è chiaro che si tratta di un operazione che farà aumentare i consensi della formazione islamica.

Noi siamo ancora sott’occupazione, alla mercè dei crimini sionisti, nelle prigioni o nella diaspora. Chi oppone resistenza sa che lo aspetteranno la morte, il carcere o l’esilio. Noi sappiamo cosa ci aspetta, siamo consapevoli dei rischi ma nonostante tutto siamo determinati a portare avanti la nostra lotta.

Primavere arabe: le rivolte che nell’ultimo anno hanno scosso i regimi arabi hanno acceso molte speranze di democratizzazione nella regione; quali aspettative nutre il FPLP rispetto a tali movimenti? Le rivolte di popolo egiziane, siriane, ecc potrebbero portare ad un miglioramento delle relazioni tra i nuovi governi e la resistenza palestinese?

Le Leadership arabe sono ottuse, dittatoriali e seguono da sempre i dikatat americani. Hanno saccheggiato tutte le risorse dei loro popoli, hanno impedito lo sviluppo sociale e culturale e in generale si sono opposte a qualsiasi miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.

Caratteristica di tutti i regimi arabi reazionari è l’assenza di libertà, di democrazia politica, di giustizia sociale:la repressione viene sempre usata contro il popolo. “Non c’è voce più alta di quella della battaglia” è lo slogan più ripetuto dalla propaganda antisraeliana delle corrotte borghesie arabe che con un antisionismo strumentale e di facciata tentano da sempre di distogliere l’attenzione delle masse dai problemi interni. Nel mondo arabo ci sono meno Stati democratici che in Africa. Le Leadership arabe si sono affidate ad una pratica di trasmissione dinastica del potere:questo succede in Kuwait così come in Arabia Saudita, in Marocco, in Siria, dappertutto. I petroldollari che sostengono le borghesie arabe finiscono nelle banche europee e americane. Dal punto di vista della produzione agricola ci sarebbero le potenzialità per conquistare una sovranità produttiva; ciò nonostante si continuano ad importare tonnellate e tonnellate di derrate alimentari, di prodotti agricoli...a dispetto della grande disponibilità di terre ed acqua. La ricerca scientifica è pari a zero. Lo Stato sionista investe da solo nella ricerca scientifica molto di più di quello che investono tutti gli Stati arabi messi insieme. Cresce dovunque la disoccupazione e la povertà si espande a perdita d’occhio.

Noi del FPLP sosteniamo il cambiamento e appoggiamo questi movimenti, ma ci domandiamo anche dove ci conducano. Sembrano avere una vocazione panarabista e questo ci sembra positivo: la visibilizzazione della nazione araba come protagonista politico dovrebbe essere a nostro modo di vedere un obiettivo prioritario. Oggigiorno le potenze regionali che monopolizzano la scena sono l’Iran, la Turchia e Israele; i 350 milioni di arabi che popolano il Medio Oriente sembrano non esistere.

Da più parti ci si chiede quali potrebbero essere le ripercussioni politiche del risveglio arabo sul contesto palestinese: noi del FPLP, pur esprimendo solidarietà alle masse arabe e alla loro lotta per la libertà, temiamo che l’islamismo radicale finisca per dirigere politicamente questi movimenti; dopo la caduta del blocco socialista infatti, mentre a parole l’imperialismo dipingeva l’Islam politico come il nuovo nemico da sconfiggere, nei fatti finanziava le correnti islamiste più radicali. Ed è un fatto che oggi la fratellanza mussulmana tunisina, egiziana, siriana, ecc, sia il nuovo partner a cui rivolgersi.

Noi appoggiamo le rivolte quando queste si battono per la giustizia sociale e la modernizzazione delle società ma siamo fervidi nemici dei governi islamici sponsorizzati dall’imperialismo internazionale.

Come confidare nei consigli rivoluzionari a guida Nato?

Crediamo che dopo la caduta del campo socialista l’imperialismo abbia appoggiato e finanziato le correnti più radicali dell’Islam politico mentre pubblicamente le dipingeva come il nuovo nemico da sconfiggere.

Perchè la rivoltà in Siria è stata immediatamente portata all’attenzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, mentre quella Yemenita è stata prontamente dimenticata dai mass media e rimossa dall’agenda politica internazionale?

L’imperialismo ha sempre stretto alleanze con i regimi oppressivi e questa volta non andrà diversamente. I gendarmi mondiali sono alla ricerca di nuovi alleati in Medio Oriente; le trattative con i talebani in Afganistan sono una realtà. L’imperialismo è disposto ad allearsi con chiunque sia disposto a tutelarne gli interessi. In Medio Oriente, la storia ci insegna che la politica di egemonia a stelle e strisce si sia materializzata nello Stato sionista, usato come vera e propria testa d’ariete per difendere gli interessi geopolitici dell’imperialismo americano.

Per concludere possiamo dire che in tutti i casi è troppo presto per fare un bilancio della primavera araba; crediamo che l’ebollizione sociale araba sia solo agli inizi; questo processo avrà tempi lunghi e comunque si concluda aiuterà i palestinesi a comprendere più chiaramente di chi potrà fidarsi e di chi no.

Come si spiega il nuovo protagonismo di Erdogan in chiave filopalestinese?

E’ di ieri la notizia di una pesante offensiva del governo turco contro le basi del PKK in Iraq. Come è possibile che la Turquia kemalista mentre reprime i Curdi, si candidi a paladina dei diritti dei palestinesi?

I curdi hanno pieno diritto all’autodeterminazione. Noi consideriamo i comunisti del PKK di Öcalan come nostri compagni.

La Turchia è un membro della Nato. Il governo di Erogan vuole essere il più filo-palestinese dei governi mediorientali proprio per guadagnarsi i consensi degli islamisti;la strumentalizzazione turca dell’eccidio commesso dallo Stato sionista ai danni della Freedom Flottiglia va letta in questo senso. Ma dietro ai proclami antisionisti di Erdogan si intravede una regia americana: Washington infatti, preme affinchè la Turchia in quanto paese sunnita, esporti il proprio modello di democrazia islamica e si costruisca un ruolo di primo piano nella regione.

La stessa cosa è successa col Qatar: mentre, grazie ai reportage di Al-Jazeera si è erto a statarello filo-palestinsese, nei fatti ha dimostrato di essere un alleato fedele della politica di Obama. In Qatar poi, non va dimenticato, si trova la base americana più grande del mondo.

Il colonialismo francese e inglese hanno disegnato a tavolino gli attuali confini degli Stati arabi; il neocolonialimo è oggi americano ed europeo; da quando non c’è più l’Unione Sovietica l’ Europa e gli Stati Uniti sono entrati in competizione fra loro per il controllo geopolitico della regione.

Quali sono attualmente il livello di radicamento e la capacità di mobilitazione del FPLP?

Dopo Oslo il movimento nazionale palestinese è arretrato; l’accordo di Oslo non è stato un accordo tra palestinesi e sionisti ma tra due leadership patrocinate dalla “comunità internazionale”. Si è trattato di un accordo politico enorme. La conseguenza principale ha riguardato le aspettative dei palestinesi; se prima queste guardavano con speranza ad una rivoluzione anticoloniale, dopo Oslo si sono concentrate solo sui negoziati. Sono molti i palestinesi che pensano che dopo aver ottenuto l’Autorità (ANP) otterranno anche lo Stato.

La sinistra palestinese, soprattutto il FPLP, ha risentito negativamente dell’implosione del blocco socialista e dell’entrata in crisi delle sinistre rivoluzionarie in tutto il mondo.

Una volta entrati nella fase di globalizzazione neoliberista, cioè nella fase di imperialismo mondiale, si è diffusa l’idea che la sinistra scommettendo sul socialismo avesse puntato sul cavallo sbagliato.

Ma le grandi crisi economiche in America e in Europa,con il loro carattere sistemico, ci dimostrano che il marxismo ha avuto ragione sull’origine dello sfruttamento dei popoli. In Italia, come in Spagna e nell’Europa intera, il sistema capitalista è entrato in una crisi irreversibile che non riuscirà a risolvere: l’opposizione anticapitalista e antimperialista, dopo decenni di arretramento, sono nuovamente destinate a crescere.

Molti movimenti marxisti sono spariti o versano in pessime condizioni, è vero: anche se resta una forza politico-militare con ancora molte carte da giocare anche il FPLP ha innegabilmente subito un arretramento; all’origine di questa crisi oltre alla già citata implosione dell’Unione Sovietica e dell’immaginario socialista in generale, c’è stata, dopo Oslo, l’ascesa dell’Islam politico. Il nostro popolo purtroppo è molto religioso. I movimenti religiosi come Hamas hanno ricevuto enormi finanziamenti economici dall’Arabia Saudita, dalla Siria e dall’Iran; dall’altra parte l’Anp è stata coccolata dall’Europa, dagli Stati Uniti e dallo Stato sionista. Il FPLP non ha ricevuto aiuti da nessuno e ha comunque resistito. Durante l’intifada di Al-Aqsa migliaia di suoi militanti e sostenitori sono stati uccisi o imprigionati:il proprio leader Abu Ali Mustafa è stato ammazzato e il suo successore Ahmed Saadat è stato incaracerato. Ciò nonostante il FPLP ha mantenuto la sua posizione di resistenza irriducibile all’occupazione sionista: la lotta di liberazione nazionale resta la priorità.

Quali sono le condizioni di salute di Ahmed Saadat?

Ahmed Saadat è da 21 giorni in sciopero della fame, da quattro anni in isolamento. Ieri il suo avvocato l’ha visitato (gli sono negate anche le visite familiari) nell’ospedale del carcere di Ramle dove, in conseguenza del deterioramento delle sue condizioni di salute, è stato trasferito qualche giorno fa. Saadat ha fatto sapere che continuerà lo sciopero della fame fino all’ottenimento di tutte le richieste dei prigionieri palestinesi. Ha concluso la vista con l’avvocato trasmettendogli questo messaggio: “Dignità o Morte”.

L’unidici novembre il consiglio di sicurezza della Nazioni Unite si esprimerà sulla richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese avanzata un mese fa da Abu Mazen; il FPLP sembra,aver seppur cautamente appoggiato tale iniziativa diplomatica mentre organizzazioni come Hamas o Jihad Islamica si sono mostrate molto scettiche quando non direttamente contrarie.

Il FPLP è sempre stato contrario ai negoziati già fin dall’epoca di Oslo: la nostra è stata ed è una lotta di popolo. Quanto alla richiesta del riconoscimento dello Stato all’Onu, il FPLP pensa che rappresenti un passo in avanti ma che non sia sufficiente; aiuterà comunque a far capire una volta per tutte chi ci appoggia e chi no. Molti pensano che Obama abbia una politica filo-palestinese: la votazione al consiglio di sicurezza chiarirà a tutti da che parte stia Obama e indirettamente rimetterà al centro dell’agenda politica palestinese la lotta di liberazione nazionale.

Appoggiare anche se con delle riserve la richiesta di Abu Mazen non rischia di legittimare, tra le tante cose, la rimozione della questione dei profughi, la negazione del diritto al ritorno?

L’inizativa di Abu Mazen fallirà. Gli Stati Uniti useranno il diritto di veto e si giungerà ad un nulla di fatto. Lo sappiamo. Ma questa strada per quanto tortuosa e innefficace era preferibile a quella dei negoziati diretti. In tutti i casi non ci sfuggono le pericolose conseguenze nel caso, comunque improbabile, del riconoscimento di uno Stato da parte delle Nazioni Unite: i profughi non potrebbero tornare nei territori occupati del ‘48 e la rappresentanza politica del popolo palestinese attualmente esercitata dall’OLP passerebbe nelle mani dell’Autorità Nazionale con tutte le conseguenze disastrose che ne deriverebbero. L'OLP gode attualmente dello status permanente di "osservatore" all'interno dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite; l’OLP è l’unico legittimo rappresentante del popolo palestinese; e se un giorno ci sarà una Stato palestinese questo dovrà essere guidato dall’OLP e non dall’Autorità Nazionale.

Come credi che le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria e in generale quelle solidali con la causa palestinese possano aiutare il FPLP?

Il vostro dovere è lottare nel vostro Paese per cambiare le cose.

Noi guardiamo con interesse ai movimenti sociali europei e americani. Lo Stato sionista può incassare e metabolizzare senza troppi problemi gli attacchi di Hezbollah e della resistenza palestinese. Il progetto sionista non finisce con quei 5 milioni di ebrei che occupano la nostra terra; e’ un progetto internazionale che richiede una risposta internazionale. La nostra non è una guerra di religione tra ebrei e mussulmani: c’è stata fin dall’inizio del conflitto una volontà europea e americana di appoggiare la causa ebraica e questo a spese del popolo palestinese.

La Palestina non è il Kurdistan, nè la Cecenia nè il Kashmir. La lotta palestinese è sempre stata una lotta internazionale perchè internazionale è stata la responsabilità dell’occupazione sionista. Di conseguenza la lotta palestinese rappresenta solo la punta più avanzata della lotta dei popoli contro i progetti dell’imperialismo internazionale.

Noi abbiamo bisogno di stare nella stessa barricata dei compagni europei e americani. Noi potremo vivere insieme agli ebrei in questa terra ma ciò avverrà solo quando questi rinunceranno al sionismo.

Il sionismo è una malattia dell’ebraismo, è razzismo finanziato dall’Occidente, è l’Occidente stesso piantato in terra araba.

Il nostro successo sarà frutto della partecipazione mondiale dei popoli alla nostra lotta. Non potremo mai vincere da soli: la lotta di un popolo per la sua autodeterminazione deve sempre poter contare- e più che mai in un mondo globalizzato come questo- sulla complicità internazionale.

Se la libertà e la giustizia sociale giungeranno nel mondo arabo ciò aiuterà la nostra causa nazionale. Lo Stato sionista ha paura del progresso arabo e della democratizzazione dei regimi perchè costituirebbero un enorme ostacolo alla colonizzazione.

La lotta palestinese è prima palestinese, poi araba e infine internazionale. Da soli non potremo andare molto lontano.

Ogni colpo inferto al capitalismo italiano, europeo e americano è un colpo al nemico sionista..e viceversa.

20/10/11, Betlemme.

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