sabato 16 luglio 2011

pc 16 luglio - le motivazioni davvero contradditorie della sentenza di melfi - commento in prossimo articolo

Operai Fiat, il giudice
«Da licenziare per
grave danno prodotto»



POTENZA – La notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, nello stabilimento di Melfi (Potenza), l’azione dei tre operai licenziati dalla Fiat «è stata illegittima, in relazione allo specifico fine di determinare materialmente l'interruzione dell’attività produttiva»: la «conseguenza del comportamento illegittimo» è stato «il grave danno economico subito dall’azienda (circa 15 auto non prodotte)». Sono questi alcuni dei passaggi più importanti delle motivazioni depositate dal giudice del lavoro di Melfi, Amerigo Palma, che ieri ha accolto il ricorso della Fiat sul reintegro di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli.

Il giudice del lavoro ha escluso «l'antisindacalità del licenziamento» deciso dalla Fiat poichè «il comportamento dei tre lavoratori non è riconducibile all’esercizio del diritto di sciopero», in quanto «non si è limitato all’attività di persuasione», ma «ha posto in essere atti concreti per impedire il funzionamento dell’organizzazione aziendale». Nelle motivazioni della sentenza è stato anche evidenziato che «il tempo in cui si è avuto il blocco della produzione, riconducibile alla condotta esclusiva di Barozzino, Lamorte e Pignatelli è stato tutt'altro che trascurabile, circa dieci minuti, tale da cagionare la mancata produzione di circa 15 auto».

ORE 14:00 - DI MINACCIA E SFIDA IL LORO ATTEGGIAMENTO
L'atteggiamento dei tre operai, nella notte tra il 6 e il 7 luglio, «è stato di sfida e di minaccia», poichè due di loro (Barozzino e Lamorte) «coscientemente persistevano» davanti al carrello, per «impedirne il transito», e il terzo (Pignatelli) «addirittura vi si portava deliberatamente», mentre altri manifestanti «una volta resi consapevoli, ai primi richiami, della loro posizione abnorme, decidevano di spostarsi». E' questo uno dei motivi che ha permesso «al Tribunale di ritenere che» la Fiat «non abbia posto in essere nessuna obiettiva disparità di trattamento per l’individuazione dei lavoratori da licenziare»: il giudice, inoltre, si dice «certo» che i tre operai «abbiano colto la portata di quanto veniva loro più volte ufficialmente evidenziato se, addirittura, Barozzino replicava rispondendo 'se qui non possiamo stare, dicci tu dove dobbiamo andarè, e diceva anche 'che, ti si è incantato il disco?', ironicamente sostenendo che, implicitamente, che non era necessario che» si ripetesse «più volte la stessa contestazione», a uno dei responsabili del controllo della linea. E, dopo «le prime contestazioni ufficiali» anche Pignatelli, «che era in posizione defilata» ha deciso di «raggiungere Lamorte e Barozzino per porsi, a braccia conserte, davanti al carrello».

ORE 14:15 - CONTRADDITTORIE LE TESTIMONIANZE
Il Tribunale ha giudicato «lampante la contraddittorietà delle dichiarazioni rilasciate dagli informatori» portati dalla Fiom, mentre «coerente risulta la ricostruzione fatta dai responsabili dell’azienda»: nello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat, inoltre, «non c'era un clima di conflitto sindacale dovuto all’adozione di un nuovo contratto collettivo presso gli stabilimenti di Cassino e Mirafiori, come sostenuto dalla Fiom». Il giudice ha anche fatto riferimento a un precedente «del tutto analogo» su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione nel 1987 «tra la Fiat e due lavoratori che avevano ostruito, con i loro corpi, il passaggio del carrello fornitore della saldatrice» e nel limite del diritto di sciopero, illegittimo quando «impedisce il funzionamento dell’organizzazione aziendale, con interventi sugli impianti o con atti, pur non improntati a forme di violenza o minaccia, che ostacolino il lavoro dei dipendenti».

ORE 14:30 - NON C'E' STATO IL SABOTAGGIO PREMEDITATO
Da parte dei manifestanti, nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, «non c'è stata nessuna premeditata intenzionale volontà di sabotaggio», nonostante «quanto lasciato intendere da alcune dichiarazioni pubblicate su due articoli comparsi su un noto settimanale nazionale». Il giudice del lavoro non ha quindi ritenuta «premeditata» l'azione dei tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza), «almeno volontariamente», ma il blocco del carrello «potrebbe essere avvenuto verosimilmente per colpa, ossia per contatto inconsapevole di qualcuno, data la concitazione degli eventi». Secondo il Tribunale, però, «non trova fondamento» la tesi della Fiom secondo cui «la punizione dei soli tre operai» è «finalizzata a influire sul futuro svolgimento della lotta» cioè a incidere sui futuri rapporti sindacali: non c'è stato quindi, da parte della Fiat, «un progetto aziendale teso a reprimere l’attività sindacale», e la Fiom «non ha fornito adeguata prova di tale tesi».

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