lunedì 9 maggio 2011

pc 9 maggio - dopo lo sciopero generale della Cgil... cosa si può e si deve fare

Lo sciopero generale indetto dalla Cgil ha avuto una mediocre riuscita, le percentuali dette dal sindacato sono al di sopra della realtà, così come i numeri nelle piazze; è inutile dire poi che, tranne eccezioni a macchia di leopardo in alcune realtà industriali, la riuscita nelle fabbriche è stata bassa, nelle grandi come nelle medie e piccole.
Ma come avevamo detto prima dello sciopero, non è tanto il dato della partecipazione l'elemento rilevante. Uno sciopero generale nelle condizioni attuali è molto difficile per tutti, e i numeri raccolti ieri difficilmente sono ampliabili dato lo stato delle cose oggettivo e soggettivo nelle fabbriche e tra i lavoratori. E, inoltre, il dato di mediocrità che rileviamo non è certo per spirito disfattista né per sminuire quegli operai e lavoratori spesso di realtà in lotta o che fronteggiano chiusure e licenziamenti che a questo sciopero hanno voluto partecipare per portare le loro istanze e le loro ragioni.
Il risultato è mediocre nella lotta contro padroni e governo ed è soprattutto qualitativamente negativo per la linea che ha guidato lo sciopero.
La Camusso dal palco di Napoli ha messo l'accento su uno sciopero sostanzialmente per la riforma fiscale, secondo una linea, da sempre sbagliata, per cui la lotta sindacale consisterebbe nello spostare con la riforma fiscale risorse che poi produrrebbero lavoro e crescita. Non è mai successo nei periodi forti della lotta operaia e dei lavoratori, figurarsi se può succedere nei periodi come questo, in cui governo e padroni marciano verso il fascismo padronale e la cancellazione delle conquiste dei lavoratori, con l'utilizzo a fondo della precarietà e disoccupazione come arma per ridurre l'occupazione e intensificare lo sfruttamento e, fuori dalle fabbriche, per tagliare le spese sociali e le attività che riguardano le spese sociali, scuole, sanità, trasporti, ecc.
A che serve questa linea che è certo che non produce alcun risultato? La Camusso lo chiarisce subito dopo “proprio il fisco può essere un terreno di incontro con cisl e uil che hanno indetto una manifestazione per il 21 maggio a sostegno di una loro piattaforma. E' possibile riprendere il filo con cisl e uil, partendo dal fisco. Diciamo No alle divisioni provocate dal governo che determinano attriti, intolleranza tra di noi. Voltare pagina è possibile...”.
Uno sciopero, quindi, da usare secondo la Cgil per ricostruire l'unità coi sindacati del governo e dei padroni e, quindi, col governo e con i padroni.
C'è qualcuno che nella Cgil, nella Fiom, nell'arcipelago opportunista dei sostenitori e “generalizzatori” di questo sciopero generale, può negare che questa sia l'effettiva sostanza e l'unica consistenza dello sciopero di ieri?
C'è chi nelle fabbriche può negare che tutto questo è esattamente l'opposto di ciò che vogliono gli operai più combattivi e di quello che è necessario agli operai per fronteggiare attacchi all'insegna del piano Marchionne e della sua generalizzazione? C'è chi nella Fiom può negare che questo scioperosu questa linea ha indebolito gli operai in fabbrica?
C'è chi può negare che il “un piede in due staffe” della direzione Fiom, ispirato dal rapporto e dal mantenere il legame con la linea della Camusso della Cgil, abbia provocato non il rafforzamento delle istanze classiste presente nella Fiom, ma l'aggressività della destra Fiom molto forte in realtà tra i delegati Fiom che, tranne eccezioni e minoranze, sono spesso più a destra della stessa direzione Fiom?
Chi sta in fabbrica e fa le lotte lo sa benissimo e chi non lo sa se ne accorgerà molto presto, a partire da Melfi, Mirafiori, Pomigliano, per non ripetere l'esempio spudorato e sputtanato della Bertone.

Guardato da questo lato gli effetti di questo sciopero se sono, purtroppo, poco significativi come arma di pressione verso padroni e governo, sono davvero negativo nella battaglia generale per un vero sciopero generale.
Praticamente il 6 maggio ha bruciato la battaglia per uno sciopero generale vero e ha messo fine al ciclo, virtuoso anche se venato di ambiguità, che ha visto le pagine della grande manifestazione metalmeccanica del 16 ottobre, la grande ribellione degli studenti del 14 dicembre, il nettamente migliore sciopero del 28 gennaio, e le numerose iniziative nazionali delle donne, degli immigrati, che in qualche maniera richiedevano uno sciopero generale vero.
Questa battaglia nelle forme con cui finora si è espressa di fatto si è conclusa. Ora effettivamente bisogna partire dagli esiti negativi di questa battaglia per aprire una nuova fase. E su questo noi non siamo affatto pessimisti.
Il punto d'approdo della Cgil è la parziale fine dell'”anomalia Fiom”, mette sul tappeto il problema reale della riorganizzazione dal basso e di massa del sindacato di classe, della costruzione del fronte unito proletario, studentesco, popolare, alternativo alla linea perdente del riformismo sindacale e politico. Mette sul tappeto l'assunzione di una battaglia prolungata con l'organizzazione di una vera rivolta operaia e popolare che non abbia obiettivi intermedi, di un'accumulazione di forze e di una costruzione di una direzione di classe adeguata.

Ma ora non è il tempo dell'unità. Non ci può essere unità senza lotta a chi nel nostro campo lavora per il re di Pirro.
Certo non tutti, per quanto inconseguenti, sono uguali nell'arcipelago del sindacalismo di base, del sindacalismo di classe, interno ed esterno alla Fiom, nella stessa sinistra elettorale, nelle espressioni di base dei coordinamenti, nel movimento degli studenti.
Serve un lavoro di scomposizione e ricomposizione che parta dalla sostanza della linea praticata più che dalle sigle e dall'autodefinizione.
Sono tante le energie che si possono unire e darsi e avere forza e rappresentanza, ma questo richiede che ci sia una lotta frontale, uno scontro frontale, una separazione, rispetto a quelle due componenti che agiscono come braccio del riformismo politico e sindacale nei movimenti.

Questo è innanzitutto l'arco propagandato da Il Manifesto e Liberazione e che ha il suo perno nei Disobbedienti, nei Cremaschi e nei suoi amici, fino alle mosche cocchiere del Carc. Luca Casarini in un editoriale, ospitato da Il Manifesto, rappresenta molto bene questa tendenza. Anche lui parla di chiusura di un ciclo e rilancio, ma il bilancio che fa di questo ciclo è esattamente opposto al nostro. Laddove noi vediamo il progressivo spegnersi dei contenuti antagonisti della lotta, davvero presenti nell'opposizione agli accordi Fiat, nella partecipazione alla manifestazione del 16 ottobre, nella rivolta degli studenti, nei mille fuochi di guerriglia sociali e politica sviluppatisi in questi mesi, Casarini vede invece il positivo nel portare tutto il movimento nell'alveo della Camusso condito con una serie di iniziative, più spettacolari che sostanziali, messe in atto anche in questa occasione; la dove lui vede “ricomposizione, alternativa verso la conquista di un nuovo welfare con versione ecologica, nuova democrazia dei beni comuni, maturità”, noi vediamo invece il ricomporsi di un fronte riformista al servizio di un nuovo governo dei padroni, antiberlusconiano ma non anticapitalista. Questo è chiarito in maniera definitiva ed esplicita nel finale di questo editoriale in cui, citando la Sardegna, si dice: “partite Iva e pastori, commercianti e operai, studenti e ricercatori si sono messi insieme oltrepassando i modelli sindacali, politici e di movimento conosciuti prima per sconfiggere gli strozzini di Equitalia”. Oh, chiaramente, sappiamo tutti che Casarini ormai è un piccolo imprenditore e che il suo ragionamento è direttamente figlio della sua attuale condizione di classe che porta a termine il ciclo, assai poco virtuoso, di una certa piccola borghesia prima sovversiva, oggi al massimo inferocita per le tasse...
E' facile vedere come questo si sposi in maniera organica con la battaglia per una vera riforma fiscale della Camusso.

L'altro fronte importante è quello nel sindacalismo di base e di classe. Noi non siamo per l'unità della Fiom, non siamo per l'unità con la Fiom, non siamo per l'unità dei sindacati di base. Ma siamo per un'unità frutto della separazione in ognuna di queste realtà tra posizioni classiste e di vera opposizione proletaria e posizioni opportuniste.

Ecco, noi pensiamo che tutto questo sia un fastidioso ostacolo da cui bisogna liberarsi. Non è possibile aprire un ciclo e rilanciare la lotta di classe senza una guerra interna alla classe e al movimento.
E' questo il compito che le effettive realtà proletarie, comuniste, di opposizione sociale e politica sono chiamate a misurarsi da subito.


proletari comunisti
9 maggio 2011

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