martedì 31 maggio 2011

pc 31 maggio - per lo sciopero delle donne - un dibattito davvero interessante


INTERVENTI NELLA LISTA SOMMOSSE SULLO SCIOPERO DELLE DONNE maggio 2011

LIDIA CIRILLO - MILANO

Qualcosa a proposito dello sciopero delle donne. Si tratta di un obiettivo attraente e per giunta non di una semplice idea maturata nel cranio di qualcuna. In un recente passato scioperi di donne sono stati eventi significativi in Europa e in qualche caso hanno rappresentato una vera e propria svolta nella vicenda dei movimenti. Il problema è che uno sciopero del genere non si proclama, si costruisce e in questo periodo tra notevolissime difficoltà. Per costruire un fatto politico di una certa entità servirebbe (ovviamente) una rete ampia di relazioni trasversali capace di farsene carico. Proclamare uno sciopero che farebbero in poche centinaia in Italia non servirebbe a nulla o addirittura a esporre qualcuna al rischio di licenziamento.
Le reti ampie di relazioni trasversali si costruiscono prima di tutto abbandonando le pratiche settarie che hanno fatto fallire in Italia più di un progetto di rete. In caso contrario non si costruisce lo sciopero, si fa solo un po' di propaganda a se stesse, al proprio partito, gruppo o collettivo. Cosa del tutto legittima, sia chiaro, ma che può risultare per altre poco interessante.
Inoltre una rete addirittura capace di proclamare uno sciopero nazionale e generale dovrebbe mettere insieme donne d'accordo almeno su due cose: l'obiettivo dello sciopero naturalmente; alcuni passi, anche piccoli, ma in una direzione precisa. Ora la CGIL, che ha avuto un ruolo importante (e
anche meritorio) nella costruzione della giornata del 13 febbraio e di Se non ora quando? ha firmato protocolli che vanno nella direzione esattamente opposta a quella verso la quale sarebbe giusto fare i passi, piccoli o grandi che siano. Nella direzione cioè del progetto Sacconi-Carfagna. E' vero che nella CGIL stessa ci sono anche posizioni molto diverse, per esempio quelle della FIOM e di singole o minoranze, ma l'entità del problema non cambia per questo di molto.
Tutta la volontà antisettaria possibile non può eliminare questo semplice dato di fatto. L'obiettivo dello sciopero ha quindi due pre-condizioni, senza le quali diventa pura propaganda: ridiscutere, e questa volta seriamente, le modalità dello stare insieme; individuare una logica alternativa a quella della conciliazione. L'alternativa, a mio avviso, è la condivisione, che non dipende dai rapporti di forza interni alla singola coppia ma presuppone una diversa organizzazione della società intera (orari di lavoro, servizi sociali, salario sociale o reddito di base, genitorialità condivisa ecc.)

Lidia Cirillo – 14.5.11

GENI SARDO – TRIESTE

Care Sommosse
Lo scritto di Lidia mi ha come sempre stimolato : il tema dello sciopero delle donne da me affrontato in maniera superficiale e scherzosa (lo vogliono le compagne del MFPR, non dico di no anche se è la cosa + difficile del mondo) convinta che sia un obbiettivo propagandistico, una cosa da sventolare assieme alle bandiere rosse .
In realtà la proposta merita una riflessione .
E parto dall'ultimo sciopero generale: preparato da mesi, tenacemente voluto dalle mille vertenze e lotte, costruito tenacemente da una parte consistente della CGIL con una lotta interna lacerante, con contrapposizioni dure, divergenze vere, con un dibattito di merito anche nel direttivo nazionale e per la prima volta con una costruzione unitaria della mobilitazione con sindacati di base studenti movimenti acqua e nucleare ecc., é stato un traguardo difficile da raggiungere e in molti casi i risultati sono stati inferiori all'aspettativa.
A Trieste, nonostante un'adesione considerevole allo sciopero, la presenza delle donne in corteo non ha soddisfatto le mie aspettative.
Dopo il 13 febbraio dopo l'8 marzo e dopo un corteo del 1° maggio che hanno visto una partecipazione senza precedenti delle donne (tre striscioni con la Casa Internazionale delle donne, il nostro Coordinamento Donne Trieste e lo striscione "se, non ora quando" una fetta consistente tutta nostra) al momento dello sciopero solo CGIL, la casa internaz. non ha portato lo striscione e alle "se non ora quando" del PD è stato consigliato di non partecipare, quindi restava il solito CDT .
Di fronte ad uno sciopero solo CGIL quindi c'è stata una costruzione unitaria coi movimenti e con tutto quello che sta a sinistra ma il coinvolgimento del movimento delle donne non è stato all'altezza. Come se il lavoro non fosse elemento fondante di questo movimento.
Perché le generiche chiamate in piazza hanno così successo e se si tratta di difendere i posti di lavoro lottare contro la precarietà e tutte le motivazioni, anche se non tutte condivisibili di questo sciopero interessano meno? Purtroppo non credo dipenda da firme mal poste sulla conciliazione, tranne le metalmeccaniche poche voci si sono levate contro la firma. Anche se ogni peggioramento inflitto al salario differito hanno un impatto devastante sulle future pensioni. Ma rimando a quanto ha già scritto Maria Grazia Campari e la sua analisi che è il collegato lavoro che torna dalla finestra mi trova d'accordo. Non credo ci si possa esimere da mettere in conto una lotta di lunga durata per passare dalla conciliazione alla condivisione, con i tagli o l'annientamento in atto dello stato sociale .
Quindi per la costruzione del movimento bisogna tener conto quanto scritto da Lidia ma anche dal mio dubbio che anni di devastazione ideologica, anni in cui del lavoro non si è parlato abbiano prodotto dei guasti che vanno curati.
In Italia la metà delle donne non ha un lavoro vero, lavorano, in nero lavorano in casa allevano, accudiscono, ma la dignità del lavoro sembra perduta in assenza di un salario decente come può il movimento femminista indire uno sciopero delle donne nelle condizioni date?
Sulla necessità di ricostruire la rete e di riprenderci il nostro orgoglio di sommosse ho già scritto più volte, credo che riprendere i discorsi dei tavoli sia possibile anche se e l'abbiamo visto il 13 febbraio la capacità di "non aderire ma organizzare" la capacità di non lasciarsi scippare ' dal primo appello che passa riguarda una parte infinitesimale della rete dobbiamo estendere questa capacità lavorando assieme
Un abbraccio a tutte
Geni
15.5.11


SULLO SCIOPERO DELLE DONNE

A metà maggio vi sono stati nella lista "sommosse" due interventi sulla
questione dello sciopero delle donne, di Lidia Cirillo da Milano e di Geni
Sardo da Trieste (che riportiamo in allegato).
Pensiamo che è importante che si cominci ad aprire una discussione effettiva
sullo sciopero delle donne e ad affrontare i problemi. Per questo vogliamo
intervenire su alcune obiezioni sollevate.

Lidia Cirillo dice che "uno sciopero del genere non si proclama, si
costruisce e in questo periodo tra notevolissime difficoltà. Per costruire
un fatto politico di una certa entità servirebbe (ovviamente) una rete ampia
di relazioni trasversali capace di farsene carico. Proclamare uno sciopero
che farebbero in poche centinaia in Italia non servirebbe a nulla o
addirittura a esporre qualcuna al rischio di licenziamento.".

Siamo d'accordo: lo sciopero delle donne si costruisce. Noi che ne abbiamo
cominciato da tempo a parlarne è proprio questo lavoro di costruzione che
stiamo facendo, quasi quotidianamente. Solo parzialmente le comunicazioni, i
resoconti, i volantini che mettiamo in lista (essenzialmente nella lista
Tavolo4) danno un'idea dell'attività che facciamo nelle città, posti di
lavoro, quartieri, in cui ci siamo e a volte anche in cui non ci siamo (vedi
Fiat Melfi); un'attività fatta non tanto di "rappresentazione" delle lotte
(anche se questo è altrettanto importante) ma soprattutto di organizzazione
diretta delle lotte, in cui portiamo e cominciamo a tessere concretamente le
forze, la necessità dello sciopero totale delle donne sull'intera condizione
di oppressione - che chiaramente non coincide con le lotte, puramente
sindacali o su alcune specifiche tematiche che le donne lavoratrici,
disoccupate, nei territori già fanno, ma che senza queste lotte, sarebbe
appunto solo una inutile "proclamazione" dall'alto.
Questo lavoro con/tra le donne, dal basso è la principale precondizione per
costruire lo sciopero delle donne. E invece non viene fatto da parte di
altre realtà di compagne che pure parlano, fanno opuscoli sulle condizioni
di lavoro, di vita delle donne (li facciamo anche noi gli opuscoli/dossier
ma intrecciati e spesso frutto dell'analisi, delle inchieste sul campo,
delle lezioni teoriche che vengono dalle donne in lotta). Questo da un lato.
Dall'altro nelle realtà in cui vi è un importante lavoro delle compagne con
le immigrate, nelle università, dei collettivi di femministe e lesbiche
serve secondo noi "intrecciare i fili" tra queste e le realtà di lotta delle
lavoratrici, perchè lo sciopero totale delle donne è di classe e di genere,
è l'incontro/l'intreccio delle battaglie femministe con la lotta, ribellione
delle donne contro i licenziamenti, la precarietà, le discriminazioni,
oppressione sul lavoro, sul salario, come contro la doppia oppressione
sociale e in famiglia, contro le violenze e uccisioni delle donne, ecc; in
questo senso parliamo di "sciopero totale" (anche se si deve sintetizzare
necessariamente in alcune parole d'ordini, obiettivi concreti e che nella
situazione attuale costituiscano una rottura rispetto agli attacchi di
padroni, governo, sistema contro le donne).

Quindi quando Lidia Cirillo parla di "reti ampie di relazioni trasversali",
siamo d'accordo con il concetto di "reti", però è bene intenderci di cosa
vogliamo parlare.
Noi pensiamo che ciò che serve è prima di tutto una rete/collegamento tra le
realtà di lotta, a partire dalla solidarietà, sostegno, dalla
socializzazione di queste realtà. Anche questo si fa pochissimo.

Se non nasce prima di tutto da questo una Rete, la rete si costruisce sulla
testa e prescindere dalle lavoratrici, disoccupate, donne sui territori che
stanno lottando, collettivi femministi che fanno attività. E allora sì: chi
lo fa lo sciopero delle donne?
In questo senso, questo tipo di "rete" è tutt'altra cosa delle ricostruzione
della rete di 'sommosse'. Geni Sardo scrive "ricostruire la rete,
riprenderci il nostro orgoglio di sommosse... riprendere il discorso del
tavoli...". Ecco, noi su questo non siamo d'accordo, non interessa. La
realtà di "sommosse", i Tavoli potevano quando sono sorti essere qualcosa di
positivo, non lo sono stati - solo il Tavolo 4 è continuato - e ora non si
può "ricostruirli"; sarebbe, questa sì, una strada "gruppettara", elitaria,
settaria, rispetto alla realtà vastissima delle donne che si ribellano, che
scendono in lotta, per le strade, organizzate o no, dentro o fuori la cgil,
i collettivi, ecc.

Lidia Cirillo aggiunge: "le reti ampie di relazioni trasversali si
costruiscono prima di tutto abbandonando pratiche settarie... in caso
contrario non si costruisce lo sciopero, si fa solo propaganda a sé stesse,
al proprio partito, gruppo o collettivo"; a chi/cosa si riferisce?
Per inciso, se si riferisce a noi compagne del mfpr (visto che noi parliamo
di "sciopero delle donne"), su questo sbaglia totalmente. Stia tranquilla.
Noi ci mettiamo in contatto con realtà di lotta, per es. operaie Omsa, anche
se sono dirette dalla cgil; siamo andate, pressochè noi sole a livello
nazionale, all'assemblea nazionale delle donne Fiom, dove abbiamo parlato
con varie delegate dello sciopero delle donne, ecc. Noi lo pratichiamo
costantemente questo lavoro "trasversale", ma tra le donne, le lavoratrici,
e il più delle volte non troviamo le altre compagne che parlano di
abbandonare settarismi. Questo per essere chiare tra noi.

Tornando allo sciopero, se nasce da un rete delle realtà in lotta, allora
non ci deve spaventare il numero (anche se vorremmo essere in tante
centinaia/migliaia). Gli inizi, anche nel passato che ricordava Lidia
Cirillo, sono sempre difficili. Il problema è se quelle prime "poche
centinaia" rappresentano le migliaia di donne, sono riconosciute dalle altre
o rappresentano una realtà significativa e emblematica che sintetizza
volutamente l'intreccio tra lotta di classe e lotta di genere, che fa da
prima battistrada e indica la strada alle altre; o no!
Detto questo noi non sputiamo sulla "propaganda". Geni Sardo scrive ad un
certo punto "...anni di devastazione ideologica, anni in cui del lavoro non
si è parlato (hanno) prodotto dei guasti che vanno curati".
Appunto. Parlare dello sciopero delle donne, parlare del lavoro, della
condizione delle lavoratrici, precarie, disoccupate, ecc. non è mera
propaganda, è oggi una necessità. Proviamo a parlarne in ogni realtà in cui
stiamo, e poi vediamo il risultato...
Non possiamo lasciare solo ad alcune trasmissioni TV, ad alcuni reportage,
inchieste giornalistiche, ad alcuni lodevoli ed episodici opuscoli di
parlare del "lavoro delle donne". Parliamone nelle lotte, nelle realtà in
cui diventa sempre più pesante la vita delle donne, facciamo come hanno
fatto le compagne di Bologna che hanno portato il 6 maggio un grande
striscione sullo sciopero delle donne. Questo crea dibattito, crea
attenzione, può creare anche schieramento, così come opposizione (noi
l'abbiamo visto a Melfi ma questo è un bene che le funzionarie cgil siano
costrette a dire alle operaie che la cgil della Camusso è contro lo sciopero
delle donne, perchè questo poi realmente succede, al di là dell'impegno
importante di alcune dirigenti sindacali, soprattutto Fiom, delegate).

Oggi, pensiamo che il risultato possibile è che cresca la necessità dello
sciopero delle donne, che se ne parli, superando sottovalutazioni, o
posizioni economiciste tra delegate sindacali e anche nel campo del
femminismo, o di guardare solo ad alcuni settori di donne e non alla
maggioranza delle donne che sono lavoratrici, precarie, studentesse,
immigrate.
In questo percorso la Cgil della Camusso è attualmente dall'altra parte, è
un ostacolo da rimuovere. Noi non vediamo contraddizione tra il ruolo
deviante in senso parlamentarista/elettoralista avuto dalla Camusso rispetto
alle potenzialità del 13 febbraio e la linea ultrariformista dello sciopero
del 6 maggio tutto usato per riprendere il dialogo con padroni/governo e
Cisl e uil e la firma dell'intesa sulle politiche di conciliazione.
Il problema più serio è quello che dice Geni Sardo quando scrive: "Perché le
generiche chiamate in piazza hanno così successo e se si tratta di difendere
i posti di lavoro lottare contro la precarietà e tutte le motivazioni, anche
se non tutte condivisibili di questo sciopero interessano meno?" Perchè quel
tipo di "generiche chiamate" si rivolgono e vogliono chiamare soprattutto
donne della piccola e media borghesia, ceti politici e funzionariato
sindacale, addirittura come è stato per il 13, donne attente soprattutto al
loro ruolo e carriera nelle istituzioni - In queste chiamate le lavoratrici,
le precarie, le disoccupate ci vanno pure, perchè sono doppiamente indignate
e incazzate per Berlusconi, ecc., ma ci stanno a disagio (vedendosi fianco a
fianco di assessore, politiche del PD che il giorno dopo possono trovarsi
spesso e volentieri come controparti nelle lotte).
Noi, pur partecipando alle manifestazioni del 13 febbraio, avevamo subito
visto e indicato i limiti di quel tipo di "chiamate", cosa che si è
confermato anche peggio, il giorno dopo.
Ma questo deve far capire che queste mobilitazioni, come e chi le
costruisce, anche buona parte di chi partecipa sono altra cosa di come
costruire uno sciopero delle donne fatto dalle donne più sfruttate e
oppresse, che non ce la fanno più, dalle proletarie, dalle donne, ragazze
che già si ribellano, lottano, uno sciopero che, chiaramente, non si fa con
gli sms, o solo con internet.
Quindi siamo d'accordo con Lidia Cirillo quando dice "...uno sciopero
nazionale e generale dovrebbe mettere insieme donne d'accordo almeno su due
cose: l'obiettivo dello sciopero naturalmente; alcuni passi, anche piccoli,
ma in una direzione precisa...", se, primo, per piccoli passi ma in una
direzione precisa intendiamo, appunto, comunemente un'attività costante
nelle lotte, nelle realtà delle donne lavoratrici, precarie, ecc. la
costruzione di una rete a partire dal lavoro in queste realtà; secondo, la
costruzione, attraverso questo percorso, di una piattaforma che non si
inventa gli obiettivi ma sintetizza le esigenze, i bi-sogni che le
mobilitazioni delle donne sui vari terreni pongono già, e che indicano esse
stesse la scala di priorità; contro le politiche di "conciliazione" - ma
neanche chiamando alternativa la "condivisione", di fatto, secondo noi,
altrettanto riformista, illusoria se non si dice che occorre rovesciare
questo sistema sociale e spezzare le doppie catene di questo moderno
medioevo.
Ma su questo chiaramente è necessario ritornarci. Noi abbiamo costruito una
piattaforma, ma più come sintesi dei vari attacchi di classe e di genere e
bisogni delle donne che come piattaforma dello sciopero che invece deve
concentrarsi in alcuni obiettivi, senza però perdere il suo respiro
generale, perchè uno sciopero totale delle donne non può essere puramente
sindacale nel senso proprio della parola.

Le compagne del MFPR - 29.5.11

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