venerdì 14 gennaio 2011

pc quotidiano 14 gennaio - Fiat...LA FATICA DI LAVORARE ALLA FIAT..anche prima del piano Marchionne

LA FATICA DI LAVORARE ALLA FIAT

Nessuno ne parla ma i carichi di lavoro negli stabilimenti di Marchionne sono già aumentati con un impatto pesante sulle patologie muscolo-scheletriche e rischi sempre crescenti per la salute.

Nel 2007, 68 ex-manager e dirigenti di FIAT Auto finirono sotto inchiesta a Torino a seguito della denuncia di 187 operai della Carrozzerie di Mirafiori che avevano contratto malattie per sforzo ripetuto. Non trovando soluzione per via negoziale gli operai si rivolsero al giudice e quei manager decisero di patteggiare la pena. Soluzione avallata dal tribunale anche perché nel frattempo l’ azienda aveva modificato l’ organizzazione del lavoro in linea. L’ ipotesi di reato era piuttosto grave: lesioni gravi e gravissime poiché gli operai, tra il 1992 e il 2002, hanno accusato disturbi a mani, spalle e braccia dovuti alle modalità di lavoro nelle linee di produzione.

Il fatto risale solo a pochi anni fa e nel frattempo la FIAT ha iniziato ad adottare, dal 2006, la metodologia ERGO-UAS che consente di valutare il rischio di sovraccarico biomeccanico di tutto il corpo. Un sistema molto sofisticato dotato di tabelle e di una metrica delle funzioni operative sezionate movimento per movimento in modo da definire il tempo esatto che una certa funzione richiede e il tempo di riposo necessario per evitare di pesare sulla salute degli operai.

Inutile dire che tale sistema è considerato unilaterale dalla FIOM che ha realizzato una serie di studi (a cura di Franco Tuccino) per certificare come l’ obiettivo della FIAT di far lavorare di più i suoi operai, riducendo i tempi morti o quelle operazioni “a non valore aggiunto”, alla fine pesano moltissimo sulla salute. Del resto basta ascoltare le testimonianze degli operai stessi.

In un’ inchiesta della stessa FIOM, a cura di Eliana Como e basata su interviste realizzate con 100.000 operai, nel 68% dei casi si lamentano i movimenti ripetuti delle braccia e delle mani mentre il 32% (ma la percentuale sale al 44% tra gli operai di 3° livello) lamenta posizioni disagiate che provocano dolore. Soprattutto, il 40% degli intervistati, 47% tra le donne, ritiene che la propria salute sia stata compromessa dalla condizione di lavoro.

E questa “percezione” in realtà è suffragata da alcuni dati. I lavoratori con ridotte capacità lavorative, prodotte dalle mansioni, sono, secondo i dati prodotti dalla FIOM e non smentiti dalla FIAT, 1.500 sui 5.500 dello stabilimento di Mirafiori e addirittura 2.200 su 5.500 nello stabilimento di Melfi. Le patologie più diffuse sono quelle muscolo-scheletriche: discopatie lombosacrali, tendiniti, etc.

Secondo un’ ulteriore indagine effettuata dal patronato CGIL INCA, su un campione di circa 400 operai di Melfi, con età media di 38 anni, le patologie sono state riscontrate nel 45% dei casi.

Basta parlare con gli operai per rendersi conto della situazione. “In fabbrica io sono addetto allo smistamento dei pezzi – ci dice Pasquale Loiacono di Mirafiori – e questi pesano 6 o 7 chili l’ uno. La mansione è sempre la stessa, tutto il giorno per otto ore e il mio non è il lavoro peggiore”. Montare il pezzo sulla linea di montaggio, infatti, sottopone a un altro tipo di stress, quella della ripetitività e della monotonia.

E’ la stessa INAIL ad aver realizzato delle tabelle in cui si afferma la correlazione tra determinate attività lavorative e alcune patologie: tendinite alla spalle da lavoro al montaggio o alla saldatura, tendinite mano-polso per lavorazioni meccaniche, sindrome tensiva del collo per compiti ripetitivi legati all’ uso della forza.
Esistono poi alcune condizioni lavorative che, se presenti, possono determinare il superamento delle soglie minime di rischio per l’ acquisizione di determinate patologie: ad esempio, operazioni di durata di 45 secondi per un’ ora continuativa; sforzo delle mani una volta ogni cinque minuti per due ore complessive, e così via.

Movimenti che in una fabbrica come Melfi, Pomigliano o Mirafiori sono la norma. “Noi lavoriamo in piedi tutto il tempo”, aggiunge Loiacono, “e il montaggio di una boccola alla scocca dell’ auto si ripete con movimenti lenti delle mani e delle dita per ore e ore”.

Il problema non è solo della FIAT, ma europeo. Secondo i dati della Fondazione europea di Dublino sulle condizioni lavorative, il 57% della forza lavoro effettua movimenti ripetuti degli arti superiori e il 33% lo fa in modo intenso; sono 44 milioni (il 30%) i lavoratori in Europa che accusano dolori alla schiena e il 17% alle braccia. Il costo totale dei dolori muscolo-scheletrici in Europa oscilla tra lo 0,5 e il 2% del PIL, quindi si tratta di un costo sociale rilevante che ricade non solo sulle stesse aziende ma anche sulla collettività per il tramite dell’ assistenza sanitaria.

Ovviamente tutto ciò è noto alle imprese che infatti sviluppano sistemi di valutazione degli sforzi e della condizione lavorativa come nel caso del sistema ERGO-UAS che la FIAT sta applicando. Spiegare come funziona è piuttosto complicato, ma sostanzialmente si tratta di applicare alle funzioni operative dei modelli standard che indicano la tempistica di lavoro da rispettare con alcuni scostamenti determinati proprio dalla necessità di evitare le patologie. Per applicare il sistema ERGO-UAS la FIAT ha disdetto l’ accordo del 1971 che regolava i ritmi di lavoro, aumentando però di circa il 5% i carichi sugli operai.

La spiegazione è che migliorando le caratteristiche ergonomiche di una postazione di lavoro la riduzione delle pause non comporta maggiori rischi. Ovviamente il sistema è contestato dalla FIOM che chiede una maggiore scientificità dell’ analisi dei rischi e una sperimentazione più ampia e meglio confrontata con altri metodi e sistemi.

Per capire il problema è sufficiente un esempio: applicando il sistema ERGO-UAS la FIAT arriva a ridurre le pause a 30 minuti nell’ arco delle 8 ore lavorative. Secondo un altro modello, l’ OCRA (OCcupational Ripetitive Actions), le pause dovrebbero essere di 10 minuti ogni 50 minuti continuativi di lavoro, quindi almeno il doppio.

di Salvatore Cannavò, da Il Fatto quotidiano

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