venerdì 1 ottobre 2010

pc quotidiano 1 ottobre - REGIONE LAZIO: LA POLVERINI RIACCENDE LA CAMPAGNA CONTRO L'ABORTO

La Regione Lazio, della Polverini, ex segretaria dell’UGL, rilancia l’attacco all’aborto.
In questi giorni è oggetto dell’analisi della commissione consiliare Politiche sociali della regione la proposta di legge di riforma pro-live dei consultori, firmata da una consigliera del PdL (come si vede: le donne al potere attaccano le donne), che di fatto punta a peggiorare la legge 194. Se passasse, farebbe da scuola anche in altre regioni soprattutto in Lombardia e nelle regioni governate dalla Lega, che già si sono mosse pesantemente per attaccare questo diritto fondamentale delle donne.

Questa (contro)riforma interviene soprattutto sulla funzione dei consultori che da essere soprattutto al servizio delle donne, diventano al servizio della “famiglia fondata sul matrimonio, come istituzione prioritariamente votata al servizio della vita”. Di questa “famiglia” viene considerato membro effettivo anche il “figlio concepito”, vale a dire l’embrione (!).

Già questi punti contengono non un attacco ma più attacchi, sia pratici che ideologici:
la donna sparisce, la sua possibilità di decidere del proprio corpo, della sua maternità, della sua vita non conta nulla; anzi la donna semplicemente non c’è se non all’interno della famiglia e quindi, tornando indietro di più di 30 anni, la donna esiste solo nel suo ruolo di madre e moglie;
ma per la Polverini non basta neanche parlare di “famiglia”, deve essere una famiglia fondata sul matrimonio, cioè una famiglia interna alle regole, alla normalizzazione che questo Stato, Chiesa impongono; come dire che chiunque non sta a queste regole non ha diritti;
ma ancora non basta; tornando all’aberrazione della legge sulla fecondazione assistita per cui l’embrione sarebbe già una persona e avrebbe già tutti i diritti di una persona, questa “famiglia” nella riforma della amministrazione Polverini è costituita da “padre, madre, ed… embrione” (neanche i films dell’horror arrivano a tanto…).
E’ chiaro, quindi, che se membro effettivo della famiglia è anche l’embrione, l’aborto torna ad essere un assassinio e le donne che lo fanno delle assassine!
Immaginiamoci come verrebbe trattata una donna che andasse in uno di questi consultori per abortire.
E purtroppo non c’è scampo, la riforma impone che chi voglia interrompere la gravidanza ed usufruire della legge 194 debba per forza avere un incontro diretto con le associazioni pro-life e mettere per iscritto il rifiuto alle proposte del Consultorio.
Si tratta di una pesante operazione ideologica, oppressiva, ricattatoria verso le donne.
Una pesante campagna di dissuasione soprattutto verso le donne più povere, sole, verso le quali vengono usati anche i miseri soldi dell’assegno dati solo a chi rinuncia ad abortire, per costringerle a portare avanti la gravidanza.

Ma questa (contro)riforma contiene anche un fine molto più terreno, in cui qui di soldi ce ne sono e tanti.
Nell’art. 2 si elevano a “fini pubblici” anche Associazioni private che “promuovono la stabilità familiare, la cultura familiare ed i servizi alla famiglia”, associazioni che con l’art. 3 vengono parificate a quelle pubbliche anche nella distribuzione degli assegni per il bambino fino a cinque anni.
E’ facile immaginare che queste associazioni private saranno quelle cattoliche, che per principio sono contro l’aborto e la legge 194.

Tutto questo avviene in una situazione in cui, pur se le statistiche dicono che il numero complessivo di aborti è diminuito, aumentano quelli delle immigrate, tornano quelli clandestini; in cui il 50% è fatto da donne lavoratrici, a causa evidentemente del peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle donne che lavorano, e per cui la coniugazione del lavoro e maternità è ancora più difficile.
Questo avviene in una situazione in cui il numero dei ginecologi obiettori e anche di anestesisti e personale non medico arriva – dati del 2008 – a 71,5% e al sud al 80%. Dati al ribasso rispetto alla situazione attuale; sappiamo per conoscenza diretta che in alcune città, in alcuni ospedali di città abbastanza grandi non ci sono medici che praticano gli aborti.

Ma questo soprattutto dimostra che si va rafforzando il carattere di classe della negazione dell'aborto.

Questo richiede che la lotta a difesa del diritto d'aborto, sia parte della più generale lotta delle donne, con ruolo di punta delle donne proletarie.
Essa è un punto che deve essere inserito e valorizzato nella piattaforma di un possibile e necessario sciopero delle donne, e deve diventare una battaglia che l'intero movimento proletario e comunista deve portare avanti.

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