giovedì 16 settembre 2010

pc quotidiano 15-16-17 settembre - La solitudine di una generazione precaria. Per noi, per Norman, per tutti quelli che lottano...

dal collettivo autorganizzato universitario -ist.orientale Napoli

.Ieri sono successi due fatti che sarebbe davvero insensato definire “di cronaca”. Sono due fatti politici, nel senso più profondo del termine, perché riguardano da vicino la nostra vita associata, gli spazi del nostro futuro, indicano quello che noi dovremmo fare per rendere diversa questa vita e questo Paese... Solo un cretino o uno in cattiva fede può chiudere gli occhi di fronte a quello che sta succedendo!
A Palermo un ragazzo di 27 anni, Norman, si è ucciso. Per insofferenza, perché non vedeva nulla davanti a sé, se non l'emigrazione (come ormai quasi tutti nel nostro Sud) o la prostituzione di uno stage non retribuito. Norman stava finendo il dottorato senza borsa di studio, era e sarebbe stato precario, ancora per decine di anni. E gli sembrava che la sua sola libertà, in questo Paese fatto di politici che di libertà si riempono la bocca, era quella di morire. Norman voleva lavorare, coltivare le sue passioni, forse sposarsi. Cose normali, fuori luogo in un Paese che normale non è. «Il suo gesto lo considero un omicidio di Stato. Era molto depresso per il suo futuro. I docenti ai quali si era rivolto gli avevano detto che non avrebbe avuto futuro nell'ateneo». Perciò il padre aveva provato a rivolgersi ad alcuni «amici parlamentari di ex An, ma nessuno mi è venuto incontro. Ho trovato solo porte chiuse». L'omicidio è di Stato, e dello Stato di cose presenti. E non serve a niente – semmai sia servito e soprattutto sia stato giusto – rivolgersi al politicante di turno, alle “amicizie”...

A Bologna niente di così tragico, solo la farsa del potere. Il ritorno all'800. Da mesi i ricercatori protestano contro gli ultimi passaggi della Riforma Gelmini. Fra le altre cose contro l'obbligo di insegnamento che nel loro contratto non è previsto, ma che svolgono tutti, perché le università non hanno i fondi, perché i baroni non lavorano, perché ti devi pur costruire una carriera per non restare precario a vita... Finalmente sono riusciti ad organizzarsi, e provano a chiedere i loro diritti senza passare per parlamentari e professori compiacenti. Ed ecco che l'Università di Bologna manda l'ultimatum. Se non accettate di lavorare gratis chiamiamo a lavorare altra gente. Docenti a contratto. Anche loro a gratis. Magari altri più giovani che vogliono fare curriculum. Ma che giocano la parte di nuovi crumiri. Si prova insomma la carta repressiva, per mettere a tacere chi ha avuto il coraggio e la dignità di ribellarsi. Prima che la cosa possa prendere piede e contagiare altre categorie del mondo della formazione...

Che ci stanno ad indicare queste due cose, che sono profondamente legate? Che ci stanno a indicare le mobilitazioni dei precari scuola, la nuova conflittualità operaia, le contestazioni a Dell'Utri, Bonanni, Gelmini, Ichino, a tutta la gente che ha aiutato i padroni a smantellare il (già misero) Welfare State? Anzitutto, che un'intera generazione è in uno stato di frustrazione ed esasperazione, e che la disperazione è sempre ad un passo. Ma anche che non c'è nessun partito, nessuna forza politica che possa interpretare i nostri bisogni: sono tutti corrotti e devoti ad altri interessi. Che nemmeno le scorciatoie clientelari tipiche di questo Paese reggono più. Che certi sentimenti di radicalizzano, ma trovano con difficoltà lo sbocco che meritano, ovvero quello politico, quello della lotta dura. E soprattutto che non abbiamo alternative che quelle di unirci, noi sfruttati, di fare pressione...

L'alternativa è scappare, o morire, un poco ogni giorno, sottomettersi. O fare come Norman. Noi non vogliamo andare altrove né morire lentamente, né di un tratto. Non vogliamo essere messi l'uno contro l'altro, farci la guerra fra di noi, non vogliamo essere soli, divisi solo da un contratto. Al silenzio della sofferenza preferiamo fare rumore, pretendere quello che ci spetta. Al silenzio della solitudine preferiamo metterci insieme, parlare e soprattutto fare. Fare casino, per farci ascoltare. Fare politica, per andare oltre la rabbia e costringerli – tutti – a cambiare direzione, a fare i conti con noi. Una sola nostra vita vale più di tutte le loro proprietà, di un fumogeno, del decoro di una strada, delle loro chiacchiere sulle “regole di civiltà” e sul bon ton, mentre rubano milioni e nonostante la crisi continuano a far soldi e riprodurre i loro privilegi.

È questo quello che dobbiamo ricominciare a fare quest'autunno: ritrovarci, studenti senza futuro, lavoratori senza presente, sfruttati di ogni tipo e di ogni colore, autorganizzarci, irrompere sulla scena politica che conosce solo i loro inciuci, i loro intrighi di palazzo. È stato possibile vincere in stagioni nemmeno tante lontane. Ci sono stati momenti in cui con la lotta dura gli equilibri nel Paese sono cambiati, i diritti si sono allargati, i salari aumentati. Noi, quest'autunno e oltre, ci proveremo in ogni modo...

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