giovedì 22 luglio 2010

speciale fiat 5 - 1 - il dominio e il sabotaggio

Per comprendere la natura dello scontro in atto alla Fiat è sempre necessario guardare all'essenziale. Il piano Marchionne costituisce un salto di qualità non tanto e non solo nel mirabolante tentativo di reggere alla concorrenza mondiale nella crisi – questo è comune a tutti i grandi gruppi automobilistici, questa feroce concorrenza domanda condizioni di lavoro ed estorsione di pluslavoro massimizzato, domanda che si utilizzino tutte le condizioni ambientali e sociali nei diversi paesi del mondo e domanda che sindacati e governi sostengano gli sforzi produttivi dei padron; questo avviene sotto tutte le latitudini, sotto tutti i governi e con tutti i tipi di sindacato – ma sul piano più generale.
'La Repubblica' chiarisce nell'inserto economico del 19 luglio, che la scelta di Pomigliano è una sorta di scelta obbligata e niente affatto dipendente dalla volontà del nuovo padreterno della Fiat: “La Fiat se vuole avere una posizione importante in Europa non la può avere dalla Polonia o dalla Serbia, l'Italia resta e deve restare un suo importante mercato e base produttiva... non può più esserlo con l'organizzazione produttiva attuale costosa e frammentata, la soluzione è chiudere alcuni fabbriche (vedi Termini Imerese – ndr), oppure saturarle mettendole in grado di assorbire tutta la nuova crescita. E' la scelta fatta con Fabbrica Italia che però ora deve essere incrementata e soprattutto funzionale”.
Il salto di qualità del piano Marchionne, quindi, non sta tanto nel piano stesso quanto nel metodo sistemico con cui vuole imporre questo piano, in sintonia col governo come “comitato d'affari” e lo “Stato moderno rappresentativo” in trasformazione lungo la tendenza da regime di moderno fascismo. E' il fascismo padronale, quindi, l'aspetto chiave di questo piano che ne rappresenta il salto di qualità.

Di conseguenza i licenziamenti repressivi in corso sono effetto e sostanza di questo piano. Si tratta di licenziamenti politici non tanto per l'appartenenza politica dei licenziati – in questo, non sono una riedizione degli anni '50 o di Valletta – ma perchè rispecchiano l'elemento politico, sistemico, statuale del salto di qualità.
Lo stupore con cui i licenziamenti sono stati accolti, che sanzionano comportamenti abbastanza ordinari e normali che normalmente o non venivano sanzionati o venivano al massimo sanzionati con provvedimenti blandi dettati dalle normative, questo stupore stupore nasce dall'incomprensione del salto di qualità.
Non è certamente una critica ai delegati e operai licenziati, quanto un'esperienza diretta che gli operai Fiat stanno facendo attraverso la quale la classe prende coscienza della natura dello scontro in atto e, speriamo, che si attrezza per rispondere.
In questo quadro, la definizione esatta di come vengono visti le cosiddette “infrazioni” commesse dagli operai e che ne hanno prodotto i licenziamenti è quella della Marcegaglia che parla di: “iniziative di sabotaggio”.
Giustamente gli operai colpiti dai provvedimenti reagiscono indignati a questa accusa. E lo fa per tutti il segr. nazionale della Fiom, Landini che dal palco della manifestazione di Melfi del 16 luglio, dice che forse ci sono gli estremi per la querela per la Marcegaglia.
Ma questa dialettica non deve far oscurare la sostanza, perchè non riconoscere la sostanza non ci dà la giusta visione di ciò che sta avvenendo e neanche di come combatterlo.
Gli operai anche spontaneamente hanno reagito un po' diversamente dall'indignazione querelante di Landini; nella stessa manifestazione è stato detto: “noi sabotatori? Siete voi che state sabotando i diritti dei lavoratori, lo Statuto dei lavoratori, la stessa Costituzione”.
Questa denuncia è giusta e sacrosanta, ma anche qui è insufficiente. Quello che la Fiat sta facendo, i padroni vogliono fare, il governo e lo Stato vogliono sostenere, è la riformulazione del dominio, secondo il salto di qualità, che considera inaccettabili i comportamenti ordinari della lotta sindacale. Ma se questo è il loro punto di vista è del tutto evidente che effettivamente se si oppone al piano Fiat il sindacalismo di classe e se non si accetta il quadro entro cui esso si colloca, si tratta di un effettivo “sabotaggio” da cui certo non ritrarsi, ma anzi rendere sistematico, organizzato, massificato in fabbrica, rispetto al comando di fabbrica e al piano della sua organizzazione del lavoro e a tutti gli anelli contenuti nell'accordo Fiat, e fuori dalla fabbrica rispetto al ruolo che vi svolge il governo, lo Stato e tutto l'insieme del sistema di dominio al servizio del capitale.

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