mercoledì 12 maggio 2010

pc quotid 12maggio - si estende l'informazione a sostegno della guerra popolare in India

proletari comunisti - PCm Italia ha lanciato una campagna nazionale a sostegno della guerra popolare in India, sulla base di un appello internazionale lanciato il 1 maggio a Parigi dal costituendo Comitato internazionale a sostegno della guerra popolare in India
Comitati locali sono in via di costituzione in diverse città e una riunione aperta è fissata a milano il 29 maggio
noi salutiamo altre iniziative come quella a sostegno della scrittrice indiana molto nota Arundathi roy, fatta segno di persecuzione e criminalizzazione da parte del governo indiano, per il suo impegno a far conoscere nel mondo la realtà dell'india e del perchè avanzano in questo paese i maoisti e del perchè viene lanciata contro di essi una guerra genocida
così come è importante che in zltri ambienti antifascisti e antimperialisti si estenda l'informazione
riceviamo e pubblichiamo un articolo apparso nel sito antifascista
sono disponibili presso la redazione di proletari comunisti
documenti video, documenti e interviste, informazioni quotidiane sugli sviluppi della rivoluzione e controrivoluzione in india

>
>Salve compagni, vi inviamo il nuovo "Editoriale" di
>www.antifaresistance.org
>
>L’india tra la Tata e Mao
>
>Vi proponiamo un approfondimento basato sui report e sulle informazioni
>che ci arrivano da un compagno del nostro collettivo editoriale che si
>trova da diversi mesi in India. Il silenzio sull’argomento e la scarsa
>conoscenza di quella realtà ci hanno costretti a soffermarci a lungo su
>questioni storiche o politiche finendo per rendere (anche questa volta!) il
>nostro contributo settimanale piuttosto lungo. Speriamo ce lo perdonerete…
>
>INTRO
>Questa settimana facciamo un salto di 6/7 mila chilometri a est e ci
>spostiamo niente di meno che nel secondo paese più popoloso al mondo che
>potrebbe riscoprirsi addirittura primo in questa speciale classifica,
>allorquando il censimento più grande della storia dell’umanità, iniziato
>solo qualche mese fa, arriverà a compimento: l’India.
>Questo sarà un editoriale un pochino fuori dagli schemi. Non riporteremo
>gli ultimissimi avvenimenti, non faremo una cronaca delle ultime iniziative
>dei compagni. Troppo poco si conosce dalle nostre parti della situazione di
>una nazione tanto complessa quanto cruciale per lo sviluppo delle
>contraddizioni di classe nel nostro secolo, per potersi limitare
>semplicemente ad una rassegna degli ultimi avvenimenti. É questa la ragione
>per cui abbiamo deciso di dare il nostro contributo per riempire un buco di
>informazione su un paese che di spunti rivoluzionari, tra mille difficoltà
>e contraddizioni, ne ha eccome.
>Cercheremo di fare un resoconto della situazione complessiva del paese che
>si divide tra le esperienze di lotta armata nelle cosiddetta “red belt” e
>fortissime contraddizioni di carattere religioso e ispirazione feudale
>(vedi divisione in caste), per larga parte ancora irrisolti e che vengono
>sapientemente sfruttati dal padronato per dividere la classe. Speriamo
>inoltre di riuscire a sviluppare, nelle settimane che seguiranno,
>approfondimenti di vari aspetti che introdurremo nell’editoriale odierno.
>Nonostante non se ne abbia assolutamente percezione nei paesi del primo
>mondo, l’India é solo sulla carta definita come una nazione unica. In
>concreto é l’unione di realtà economiche e culturali profondamente
>differenti e che singolarmente per popolazione e ricchezze culturali
>potrebbero essere comparate ai principali stati europei (l’Uttar Pradesh,
>stato più popoloso dell’India, se indipendente risulterebbe la quinta
>nazione più popolosa al mondo), basti pensare all’esistenza di 22 diverse
>lingue ufficialmente riconosciute e la maggior parte di esse con alfabeti
>completamente diversi gli uni dagli altri. Questo si riflette nella realtà
>politica. Ha, dunque, davvero poco senso sviluppare un’analisi a livello
>nazionale, l’India é dominata da una marea di movimenti che ricevono enorme
>supporto e appoggio in alcuni stati ma sono assolutamente assenti e
>irrilevanti in altri. Conscio di questa realtà lo stato Indiano si é
>attrezzato conseguentemente sin dall’indipendenza nel 1947. Il sistema
>politico indiano, definito federale sulla carta, prevede invece una
>fortissima concentrazione del potere nelle mani del governo centrale. Basti
>pensare che i governi dei 28 stati dell’India sono completamente dipendenti
>finanziariamente dal governo centrale, e inoltre l’articolo 356 della
>costituzione dà a quest’ultimo il potere di sciogliere uno qualsiasi dei
>governi locali; l’utilizzo di questo “privilegio” non é stato assolutamente
>lesinato. Superano il centinaio i governi “dismessi dall’alto”, in
>particolare durante gli anni ‘70/’80 sotto il governo di Indira Gandhi e
>contro i governi guidati dai partiti di opposizione in generale e in
>particolare dal fronte comunista nel Kerala e nel Bengala Occidentale,
>quando il cosiddetto Left Front, di cui parleremo diffusamente nel seguito,
>aveva ancora qualche piccola ambizione rivoluzionaria. Tale centralismo é
>ovviamente giustificato con le solite argomentazioni propagandistiche di
>governabilità ma é chiaro l’intento di scongiurare qualsiasi possibilità
>che i movimenti locali, che come detto caratterizzano l’India in ogni sua
>parte, e che hanno raggiunto in talune occasioni un’avanzatissima
>organizzazione di classe (vedi il primo Telangana Movement negli ultimi
>anni ‘40, nonché l’attuale insurrezione maoista negli stati tribali
>dell’India centrale). Inoltre, molteplici sono stati i tentativi di svilire
>i governi locali di potere. Inizialmente il sistema amministrativo indiano,
>che tutt’ora, eccezion fatta per i governi statali, non definisce
>chiaramente come articolare la governabilità locale, semplicemente
>suggeriva l’indizione di elezioni locali a base quinquennale, la qual cosa
>accadeva di rado ed in maniera assolutamente casuale ad eccezione per
>quegli stati, Kerala e Bengala Occidentale, dove un forte movimento di
>sinistra si é sviluppato negli anni.
>La vita parlamentare indiana nei ‘60 anni di indipendenza, per quel che
>concerne il governo centrale, é stata nient’affatto avvincente. Dal primo
>governo nel 1950, che brutalmente represse l’insurrezione comunista nel
>Telangana a cui abbiamo accennato sopra, il dominio del partito “Indian
>National Congress” (INC) é stato schiacciante. A parte brevissime
>parentesi, in 60 anni l’INC é stato tagliato fuori dal potere solo nel
>governo del 1999 guidato dal Bharatiya Janata Party (BJP) per poi ritornare
>prontamente al potere nel 2004 e riconfermarsi nel 2009. Il BJP é la faccia
>pulita del movimento fascista/Induista fondamentalista Rashtriya
>Swayamsevak Sangh (RSS). Date le sue complessità e diversità rispetto ai
>caratteri nostrani, ci riproponiamo di sviluppare l’analisi del fascismo e
>dei partiti che potremmo chiamare fascisti presenti in India in altra sede.
>L’INC é il partito paladino di tutte le propagande borghesi che mostrano
>una nauseante solidarietà con astratti spiriti rivoluzionari e pacifisti:
>il Mahatma Gandhi. Il partito, sempre al fianco della borghesia e dei
>poteri forti per stessa ammissione del suo primo e più celebre leader, il
>quale non ha mai mostrato alcuna simpatia per spiriti comunisti e
>rivoluzionari, potrebbe però essere caratterizzato come di centro-sinistra
>rispetto alle categorie politiche del panorama europeo. É questa una delle
>principali differenze tra la storia dell’India e dell’Italia del dopo
>guerra.
>Da porre in rilievo è anche il contesto internazionale in cui l’India era
>coinvolta in quel periodo, stretta com’era tra l’Unione Sovietica e la Cina
>Popolare. L’influenza del socialismo sovietico sulla politica, anche
>economica, indiana é, infatti, innegabile. Chiara evidenza di
>quest’influenza é l’aggiunta nel 1976 della parola “socialista” alla
>descrizione del sistema di governo indiano che viene ora definito Sovrano,
>Socialista, Secolare, Democratico e Repubblicano. Non vogliamo così dare
>legittimità politica a simili elementi che rimangono assolutamente uno
>specchietto per le allodole, basti guardare all’influenza attuale degli
>Stati Uniti nella politica indiana, la fame e miseria che dilaga ovunque al
>pari di fortissimi contrasti religiosi e di caste, e le condizioni di vita
>del popolo indiano nel suo complesso per invalidare i primi quattro
>aggettivi, ma é al contempo indubbio un ruolo del pubblico nell’economia
>indiana, durante gli “anni sovietici”, sicuramente incomparabile rispetto
>alle realtà europee dominate da partiti filo-americani (le relazioni tra
>l’India e la Cina Popolare sono stati per lungo tempo complesse e
>tutt’altro che distese ma non svilupperemo tale tematica in questa sede).
>Questo quadro é radicalmente cambiato quando nel 1991 l’INC optò per la
>tanto agognata apertura dei mercati e finalmente vennero aperte le porte a
>capitali stranieri che vedevano nell’India e nel suo miliardo e passa di
>abitanti, un bocconcino troppo invitante in termini di potenziali
>ampliamento dei consumi. Il 1991 é anche l’inizio di quello che tutti i
>servi della propaganda borghese hanno con toni celebrativi e di ammirazione
>definito il “boom economico dell’India”. Il PIL indiano é iniziato a
>crescere a ritmi mai visti in precedenza. Tutti contenti. Tutti a celebrare
>i miracoli del capitalismo. Nella celebrazione generale alcuni, irrilevanti
>particolari, sono sfuggiti ai più: quante bocche ha da sfamare questo PIL?
>Quante ore ha da lavorare al giorno per garantire una pseudo-educazione ai
>propri figli? Ah, il PIL non é il nome di una persona?!
>Come al solito dietro i numeri di una astratta e impersonale “crescita
>economica” si cela la cruda verità. Negli ultimi vent’anni non solo le
>differenze di classe hanno assunto connotati disgustosi con i 100 indiani
>più ricchi che, stando alle statistiche del periodico americano Forbes,
>posseggono un quarto della ricchezza di un paese di un miliardo e duecento
>milioni di abitanti, ma le condizione della parte più povera della
>popolazione, che in India si aggira “solo” intorno ad un 60/70 %, sono
>addirittura peggiorate in senso assoluto. Su questo punto le statistiche
>sono, volutamente, confuse, ma un dato chiaro é che il consumo medio per le
>famiglie più povere di cereali si é abbassato da 880 Kg a 770 Kg. E
>l’attuale governo UPA (United Progressive Alliance, un’alleanza di governo
>guidata da…l’INC!) al potere dal 2009, si é gettato schifosamente sempre
>più nell’arena del liberismo e il supporto al grande capitale che si evince
>dalla finanziaria per il 2011 é senza precedenti nella storia del paese. Di
>fronte ad un impennata dei prezzi dei beni di prima necessità come riso e
>zucchero ad un ritmo che si aggira attorno al 20 % annuo, il governo UPA ha
>ben deciso di optare per un taglio del 12 % dei sussidi per il cibo e il
>carburante (quest’ultimo ha un ruolo essenziale nell’aumento dei costi
>degli alimenti dato il diffuso uso di trattori e il già elevatissimo costo
>del diesel in India), e per un aumento irrisorio per i progetti di sviluppo
>delle zone rurali che, tenuto conto dell’inflazione, si ripercuoterà in una
>effettiva riduzione. Per non parlare degli scandalosi tagli alla tassazione
>diretta di 4.3 miliardi di Euro a vantaggio di quel 2 % della popolazione
>con un reddito superiore a 5000 € annui (tali tagli sono cinque volte
>superiori al totale dedicato allo sviluppo dell’India rurale) che
>recupererà da un aumento pari a quasi il doppio, 8.3 miliardi di Euro, per
>la tassazione indiretta che invece affliggerà tutta la popolazione. Insomma
>una politica certamente in linea con i propositi sbandierati in ogni dove
>di riduzione dell’enorme differenze di classe nel paese!
>
>LE FORZE DELLA SINISTRA
>E la sinistra?! I comunisti?! Anche in India le forze di sinistra sono
>estremamente frammentate. A partire dal 1964 si sono susseguite scissioni
>continue dell’allora unito Communist Party of India (CPI). Le ragioni di
>tali scissioni, come sempre accade, sono un misto di opportunismo e
>questioni ideologiche. Non ci soffermeremo sull’analisi di ognuna di esse,
>tra l’altro davvero troppo numerose per essere analizzate singolarmente, ma
>ci limiteremo a descrivere la situazione odierna derivante da tale
>frammentazione. Una parte dell’allora dirigenza rivoluzionaria del CPI é
>rimasta fedele a tale linea, e tra i vari partiti che fanno del Leninismo
>la propria bandiera citiamo the Socialist Union Center of India (SUCI) e
>gli antisistemici Communist Party of India Marxist-Leninist (CPI(ml)), il
>Communist Ghedar Party of India (CGPI), e il Communist Party of India
>Maoist (detti semplicemente Maoisti), questi ultimi perseguono la strada
>della lotta armata. Sull’analisi di quest’ultima forza, che é stata
>dichiarata illegale in India, avremo tempo e modo di soffermarci in
>seguito. Diversa é stata la linea abbracciata dai partiti (autodefinitesi)
>comunisti di maggioranza, nello specifico il Communist Party of India
>Marxist (CPI(m)), il Communist Party of India (CPI), All India Forward
>Block e il Revolutionary Socialist Party, questi ultimi formano il
>sopracitato Left Front.
>Normalmente siamo abituati a non entrare nel dettaglio dell’analisi della
>politica dei partiti (autodefinitesi) comunisti di governo, dato che non
>riconosciamo alla via parlamentare alcuna prospettiva. Nel caso indiano,
>però, faremo un’eccezione per due motivi. Da un lato in India tali partiti
>comunisti di governo sono riusciti effettivamente a conquistare il potere
>in alcuni stati (non vi illudete…semplicemente tramite elezioni!),
>dall’altro, l’analisi delle politiche sviluppate durante tali esperienze di
>governo ci possono dare preziosi spunti per comprendere l’effettivo
>abbandono della causa rivoluzionaria da parte di queste forze politiche. Va
>sicuramente detto che il Left Front é molto più vicino ad una realtà del
>tipo “vecchio partito comunista” piuttosto che uno qualsiasi dei partiti
>dell’attuale “sinistra radicale”. Il Left Front da un lato gode
>indubbiamente di appoggio di massa, e in particolare di matrice proletaria,
>che non permette di liquidarlo semplicemente come forza parlamentare
>anti-rivoluzionaria, e da l’altro va riconosciuto che, seppur non
>rivoluzionario e con mille contraddizioni, almeno rappresenta una reale
>forza progressista con una ben identificata classe di riferimento.
>Un dato interessante per la statistica é che la prima elezione della
>storia in cui é stata una forza comunista a trionfare, é avvenuta in India.
>Per la precisione nel 1957 nello stato del Kerala l’allora unito CPI riuscì
>ad aggiudicarsi il governo dello stato, prontamente poi dismesso nel 1959
>dal governo centrale grazie all’articolo 356 di cui abbiamo parlato
>all’inizio. Procedendo con ordine i comunisti, in varie alleanze,
>variazioni sul tema del Left Front, sono al potere in tre stati, di due
>abbiamo già citato il nome, Kerala e Bengala Occidentale, mentre il terzo é
>uno stato del nord est dell’India poco rilevante per estensione e
>popolazione, lo stato del Tripura.
>Il Tripura non offre tanti spunti di riflessione, vuoi per i soli 3
>milioni di abitanti che lo rendono uno degli stati meno popolosi, vuoi per
>una locazione geografica “periferica”. Diremo solo che la forza del Left
>Front é schiacciante, il CPI(m) controlla da solo più del 60 % del
>parlamento locale, ed é praticamente al governo ininterrottamente dal 1977.
>Tripura, fin dagli anni post-indipendenza, é stato teatro di diverse
>ribellioni che si sono però placate negli anni recenti.
>Il Bengala Occidentale é indubbiamente molto più ricco di spunti.
>Lo stato ha una popolazione di oltre 80 milioni di persone e la capitale é
>una delle principali città dell’India, Calcutta. Anche qui il Left Front
>domina incontrastato dal 1977 ma a differenza del Tripura il domino é stato
>letteralmente totale. Dal 1977 al 2000 lo stato é stato guidato da una
>delle figure principali del movimento comunista indiano, Jyoti Basu ,
>scomparso in gennaio. L’analisi dell’operato del Left Front, soprattutto in
>tempi recenti, é abbastanza inclemente e i dati delle elezioni politiche
>del 2009 lo testimoniano. Per la prima volta dopo 32 anni nel Bengala
>Occidentale, il CPI(m) ha guadagnato meno parlamentari del INC. Una delle
>principali ragioni di questa sconfitta é sicuramente da addurre alla svolta
>intrapresa nei primi anni 2000 per sviluppare il processo di
>“industrializzazione”. L’enorme supporto popolare di cui gode del Left
>Front nello stato deriva, infatti, principalmente dalle politiche
>sviluppate nei primi anni dei governi Basu in cui il partito ridistribuì la
>terra ai contadini come mai era avvenuto in India. I 23 anni di governo
>Basu hanno anche per molti versi rappresentato un’eccezione rispetto al
>panorama nazionale. La partecipazione popolare alla vita politica dello
>stato ne é un esempio cosi come una struttura di welfare nei confronti dei
>lavoratori che nel Bengala Occidentale godono di “privilegi” e un livello
>di organizzazione sindacale estremamente maggiori rispetto alle condizioni
>medie indiane. La riforma agraria del Bengala Occidentale testimonia da un
>lato quanto il Left Front abbia in talune occasioni supportato la causa dei
>proletari e dall’altro come le politiche di classe siano le uniche che
>possano generare ampi e duraturi consensi popolari. Il partito, negli anni
>a seguire, ha però gradualmente ceduto ai milioni della borghesia indiana,
>seppur va riconosciuto che lo stato rimane tra i più secolari dell’intera
>India.
>Se la svolta é stata graduale durante i 23 anni di governo Basu, il
>processo ha, come già detto, ricevuto un’impennata dal 2001, quando
>Bhuddadep Bhattacharjee é stato eletto primo ministro del Bengala
>Occidentale sostituendo un’ormai troppo vecchio Basu. Da quella data il
>Left Front ha aperto le porte a capitale straniero e permesso alle
>multinazionali, indiane e non, d’iniziare finalmente ad estorcere profitti
>anche alla popolazione bengalese, cedendo così, alle critiche che vedevano
>nell’eccessiva protezione dei lavoratori, la ragione della stagnazione
>dell’economia del Bengala Occidentale. L’esplosione delle contraddizioni di
>classe, generate da questo tradimento in piena regola delle aspirazioni dei
>lavoratori e dei contadini, i quali da soli costituiscono il 60 % della
>popolazione dello stato, non si sono fatte attendere. Alla proposta di
>impiantare la costruzione di enormi stabilimenti chimici, nonché di aprire
>le porte a TATA (la principale, gigantesca industria indiana,
>principalmente nel mercato automobilistico ma con diramazioni in
>praticamente tutti gli ambiti dell’economia del paese) e alle successive
>espropriazioni di enormi quantità di terra dalle mani di quei stessi
>contadini, che con i loro voti hanno dato per trent’anni legittimità al
>governo del Left Front, la classe ha risposto con ribellioni senza
>precedenti in varie zone dello stato. La più famosa di esse è senza dubbio
>quella del Nandigram. A queste esplosioni di collera popolare, il Left
>Front ha dato prova di quanto fosse ormai lontano anni luce da qualsiasi
>politica che possa essere definita socialista. Barbariche repressioni e
>uccisioni sommarie hanno rappresentato l’unica risposta che il CPI(m) e gli
>altri partiti del Left Front ha reputato di dover dare. C’é da dire che ci
>sono state forti critiche interne alla linea scelta Bhattacharjee ma che
>comunque il partito ha iniziato realmente a ragionare sui propri errori
>solo dopo la sconfitta elettorale senza precedenti del 2009. Alla fine é
>stata fatta pubblica ammenda: l’inizio di una nuova linea politica o una
>rapida pulitura di faccia onde evitare una sconcertante sconfitta nelle
>elezioni locali che si terranno nel 2011? Ci chiamerete scettici,
>pessimisti o come volete ma é per noi davvero difficile credere alla prima
>ipotesi…
>Ne parleremo più diffusamente nel seguito, quando avremo modo di
>affrontare la questione maoista in maniera più specifica, ma non possiamo
>non sottolineare come sui 33 anni di governo pesino gravemente un numero
>imprecisato di assassinii e di nefandezze di ogni genere contro gli
>appartenenti al cosiddetto Naxalbari Movement.
>La guerra aperta tra CPI(m) e Naxaliti (sinonimo del Naxalbari Movement)
>ha assunto livelli di durezza terribili a partire dal 1967, anno
>dell’insurrezione di Naxalbari da cui il movimento prende il nome.
>Nonostante diverse contraddizioni e limiti di tale movimento, soprattutto
>nel Bengala Occidentale, é innegabile che i Naxaliti ottengano supporto in
>questo stato da quella fetta più povera della popolazione tradita dalle
>politiche del CPI(m) e Left Front. La reazioni a queste contraddizioni da
>parte del governo dello stato del Bengala Occidentale non é stata
>nient’affatto diversa da quella della borghesia imperialista che tanto
>criticano nelle loro sedi di partito: polizia e repressione!
>Ulteriore, e dal nostro punto di vista enorme, limite delle politiche del
>Left Front, chiaramente nella prospettiva del volerle giudicare come
>rivoluzionarie, é l’assenza totale in 33 anni di sforzi per la costruzione
>di una coscienza di classe al livello nazionale. Il partito si giustifica
>con l’impossibilità di reale agibilità politica dovuta alla forte
>centralizzazione del potere in India. L’esempio di Cuba ci dimostra come
>anche in condizioni di oppressione sia possibile non abbandonare una
>politica di internazionalismo proletario, e in questo caso non si
>tratterebbe neanche di internazionalismo ma di una sorta di nazionalismo
>proletario, e come esso paghi a lungo termine. L’atteggiamento del partito
>rispetto alla assenza su scala nazionale di una reale prospettiva
>rivoluzionaria ci pare piuttosto quello di chi vuole lavarsene le mani e
>opportunisticamente tenersi stretto il controllo di una piccolissima
>isoletta, dalla quale, appunto per la forza del potere centrale, non può
>altro che svilupparsi una politica riformista destinata a lungo termine,
>così come pare stia accadendo, ad essere schiacciata dal liberismo della
>peggior specie.
>Il terzo stato in cui i “comunisti” sono al potere é il Kerala in cui,
>però, la situazione é considerevolmente differente. Qui il dominio delle
>forze di sinistra é decisamente meno schiacciante, anzi é prassi
>un’alternanza che ricorda in pieno il modello bipolare che tanto ispira i
>politici nostrani. Nel caso presente la polarizzazione tra i due
>schieramenti é quanto meno assai più netta dei nostri centro-sinistra e
>centro-destra. Attualmente il governo é nelle mani del Left Democratic
>Front (LDF) che é costituito dai quattro partiti del Left Front, con
>l’aggiunta di altri partiti locali di minoranza. L’alternanza va avanti da
>oltre quarant’anni. Nonostante ciò anche nel Kerala va riconosciuto alla
>sinistra di essere stata in grado di creare condizioni di uguaglianza
>invidiabili per la condizione complessiva dell’India. Anche qui la riforma
>agraria é stata una delle priorità del partito sin dalla prima affermazione
>nel 1957. L’entità della distribuzione non é comparabile con quanto fatto
>nel Bengala Occidentale, infatti il fiore all’occhiello del CPI(m), di gran
>lunga partito maggioritario nel LDF, é indubbiamente l’elevatissimo tasso
>di alfabetizzazione raggiunto nel Kerala, praticamente del 100 %, contro
>una media nazionale che si attesta intorno al 60 %. La principale
>caratteristica della politica del LDF nel Kerala é stata la partecipazione
>popolare. La coalizione, sin dagli anni ‘60, ha tentato di sviluppare un
>controllo democratico dal basso i cui sviluppi sociali (il 100% di
>alfabetizzazione ne é un esempio) sono di indubbio interesse. Tali sforzi
>hanno trovato strenua opposizione da parte dell’INC, forte anche del
>sostegno del governo centrale, ma gradualmente il Kerala é riuscito in un
>processo reale di decentralizzazione del potere, che ha raggiunto nella
>campagna nota come “People’s Campaign for Decentralized Planning”, lanciata
>dopo la vittoria del LDF alle elezioni governative del 1996, uno dei suoi
>livelli di coinvolgimento più alti. Dato l’indubbio interesse che
>quest’esperienza può suscitare, e al contempo l’estrema complessità della
>stessa, ci riproponiamo di sviluppare un’analisi dell’esperienza del Kerala
>in un’altra sede, in modo da poter dare ampio spazio a tutte le analisi del
>caso. In quest’editoriale ci limiteremo a trarre un sommario giudizio in
>qualche maniera in linea con quanto detto nel caso delle politiche del
>CPI(m) e dei vari partiti del Left Front nel Bengala Occidentale.
>Le politiche sviluppate nel Kerala hanno permesso conquiste sicuramente di
>non trascurabile spessore per la classe. La già citata alfabetizzazione
>nonché un’elevatissima organizzazione sindacale dei lavoratori (tutt’altro
>che comune su scala nazionale) sono solo alcuni esempi. D’altra parte
>l’atteggiamento riformista della coalizione é quantomeno altrettanto
>chiaro. Indicative sono le posizioni che il leader storico del LDF, nonché
>del CPI(m) nel Kerala, E. M. S. Namboodiripad chiaramente espresse nei
>primi anni novanta e che invitavano l’INC, allora al governo nello stato, a
>cooperare per uno sviluppo concertato dei progetti di decentralizzazione
>del potere. Insomma una politica dal basso é sicuramente un elemento
>costitutivo del nuovo modello di società per cui noi tutti lottiamo, la
>matrice di classe di tale partecipazione democratica é però imprescindibile
>per infrangere le catene di sfruttamento del sistema attuale.
>Nell’esperimento del Kerala ci pare chiaro che si sia cercato una sorta di
>supporto bipartisan, atteggiamento a lungo termine fallimentare.
>L’incapacità di costituire un consenso duraturo ha reso impossibile alcun
>avanzamento reale rispetto alla modifica del sistema di produzione. Anche
>nel Kerala la risposta alla crisi e la crescente disoccupazione é stata
>l’apertura ai capitali privati. Seppur le contraddizioni non sono esplose
>in maniera chiara come nel Bengala Occidentale, e dunque il LDF non si é
>dovuto macchiare in questo stato di crimini e nefandezze schifose in
>termini di repressione come avvenuto nello stato roccaforte del CPI(m), ci
>pare di poter giungere alle stesse conclusioni sulle politiche dei
>principali (ma solo per numero di iscritti e sostenitori!) partiti
>comunisti indiani.
>E alle stesse conclusioni si giunge analizzando le posizioni del Left
>Front al livello nazionale. Negli ultimi mesi il lavoro della coalizione si
>é concentrato nella creazione di un fronte di opposizione popolare alle
>politiche neo-liberiste del governo centrale che hanno generato questo
>folle aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. C’é stata una
>discreta risposta popolare: durante le periodiche mobilitazioni chiamate
>dalla coalizione, é sceso in piazza un numero di persone che va dal
>centinaio di migliaia fino a sfiorare il milione. Fra le varie
>rivendicazioni del movimento: la lotta alla disoccupazione, l’introduzione
>di una sorta di salario minimo garantito per la popolazione urbana (per la
>popolazione rurale durante il precedente governo INC é stato introdotto un
>qualcosa di simile che va sotto il nome di NREGA, National Rural Employment
>Gurantee Act), una politica economica che fermi l’inflazione dei beni
>alimentari di prima necessità e soprattutto lo stop alle violenze maoiste.
>Ciononostante, la prospettiva di un mondo nuovo privo di oppressione e
>sfruttamento sia completamente assente dalla propaganda del CPI(m) e vari;
>é proprio questa assenza che smaschera la completa internità della
>coalizione al sistema capitalistico indiano. Interna a tal punto da
>richiedere l’intervento del braccio armato del padronato contro le
>offensive maoiste.
>
>GUERRA DI GUERRIGLIA
>Repressione della peggior specie é, appunto, pane quotidiano per quello
>che rappresenta l’unico gruppo impegnato in un’insorgenza armata nella
>nazione: i Maoisti. Senz’altro la comprensione dei limiti e prospettive di
>questo movimento rappresenta una delle tematiche più interessanti per i
>compagni. Cercheremo dunque in questa sede di abbozzare un analisi,
>sviluppando per quanto possibile la complessità che il Naxalbari Movement
>rappresenta. É impossibile parlare di maoismo in India senza collegarlo con
>la brutale e quotidiana repressione da parte delle forze dell’ordine.
>Dunque lo sviluppo delle prospettive di insurrezione armata in India ci
>permetterà di capire anche il livello di repressione da parte dei vari
>poteri locali a braccetto con il potere centrale (abbiamo visto che da
>questo punto di vista anche i cosiddetti “stati comunisti” non fanno
>eccezione).
>Abbiamo già accennato a qualche dato storico sulla nascita del movimento
>che prende vita nel 1967 con la ribellione nel villaggio di Naxalbari nel
>Bengala Occidentale. Proprio l’atteggiamento rispetto a questo avvenimento
>causò una delle molteplici scissioni del fronte comunista. In particolare
>questa fu la volta della separazione tra CPI(m) e CPI(ml). Il CPI(ml) si é
>poi frammentato in decine di ulteriori gruppi negli anni successivi. La
>formazione del CPI(maoist) é avvenuta solo recentemente, per la precisione
>nel 2004, quando due dei molteplici gruppi generati dalla creazione del
>CPI(ml), hanno deciso di riunire le forze per guidare l’insurrezione
>armata. Quando si parla di maoisti ci si riferisce in generale a quella
>parte del Naxalbari Movement rimasta fedele alla linea della lotta armata.
>Vari slittamenti semantici hanno fatto si che si utilizzassero i termini
>Maoisti e Naxaliti come sinonimi gli uni degli altri, noi faremo lo stesso.
>Il movimento maoista ha vissuto in questi cinquant’anni momenti
>enormemente complicati in cui lo stato indiano sembrava avesse avuto la
>meglio sull’insurrezione armata. Nonostante ciò i Naxaliti sono sempre
>riusciti a resistere alla disarticolazione e attualmente hanno raggiunto un
>livello di organizzazione e forza senza precedenti. Abbiamo detto che il
>movimento si é originato nel nord ovest del Bengala Occidentale. Per un
>periodo i maoisti sono riusciti ad estendere la propria influenza anche
>nella parte Nord dell’Andra Pradesh (AP), che ha rappresentato per anni la
>loro roccaforte. Fu proprio nell’Andra Pradesh che il movimento ha visto la
>repressione più brutale che ne ha praticamente decimato la presenza. A tal
>punto che oggi é difficile annoverare l’AP tra gli stati di influenza
>maoista, nonostante si sia parlato di un rinascita del movimento maoista
>sulla scia dei violentissimi scontri che hanno caratterizzato il secondo
>Telangana movement, scoppiato non più di qualche mese fa dopo l’annuncio
>del governo centrale della possibile separazione della regione del
>Telangana, a maggioranza Telagu, dal restante Andra Pradesh. L’attuale
>movimento maoista si concentra prevalentemente nella zona centrale
>dell’India centrale: parti non irrilevanti degli stati del Chhattisgarh,
>Jharkhand, Orissa, Bihar e Bengala Occidentale sono oggi controllati dai
>ribelli.
>Le ragioni del fortissimo supporto popolare che indubbiamente i maoisti
>riscuotono in queste regioni ha due matrici distinte tra loro. In primo
>luogo tutte queste regioni, seppur sono tra le meno industrializzate
>dell’India, hanno la caratteristica di essere estremamente ricche di
>minerali e metalli, nonché di uranio. L’intera area é assolutamente
>selvaggia e presenta fitte foreste, ideale infatti per azioni di
>guerriglia. Proprio l’inaccessibilità di queste risorse ha permesso alle
>milioni di persone che abitano l’area di sfuggire alla schiavitù, per anni.
>In tempi recenti la situazione é, però, fortemente cambiata data l’apertura
>alle multinazionali straniere e la forza sviluppata dalla stessa borghesia
>nazionale (vedi TATA), ormai in grado di accedere alle ricchissime risorse
>della zona. Inutile dire che la bramosia di profitto delle multinazionali
>ha trovato porte spalancate negli ultimi due governi UPA che hanno iniziato
>operazioni di rastrellamento della zona per accontentare le aspirazioni
>padronali. Non c’é da sorprendersi che il ministro degli interni indiano
>sia stato per anni nella direzione della Vedanta, una multinazionale
>dell’alluminio, desiderosa di poter mettere le proprie mani grondanti di
>sangue sulle risorse dell’Orissa e Chhatisgarh. Il popolo Adivasi, ovvero
>la parte tribale della popolazione di quelle zone, ha però una storia di
>ribellioni e resistenza. Questo, associato al fatto che i maoisti, sotto
>nomi e frazioni di vario genere, hanno lavorato per decadi in quelle zone
>per la creazione di una coscienza di classe e sviluppo di lotte
>organizzate, ha generato fin da subito una fortissima risposta popolare ai
>tentativi di rapina orchestrati dalle forze dell’ordine. I ribelli Naxaliti
>sono l’unica forza politica indiana che dia un sopporto reale alla
>resistenza del popolo Adivasi, non c’é da sorprendersi che godano dunque di
>un supporto genuinamente popolare estremamente forte e radicato.
>La resistenza alla sicura schiavitù conseguente alla cosiddetta
>industrializzazione, é la prima, seppur di gran lunga principale, delle due
>ragioni. La seconda deriva dalle condizioni altamente arretrate, in
>particolare dal punto di vista sociale, in cui é costretta l’intera area.
>Nello specifico l’organizzazione dei villaggi é marcatamente maschilista e
>moltissimi sono gli episodi di estrema discriminazione. Numerose sono state
>anche le battaglie condotte dai ribelli in favore del superamento di
>divisione di sesso e caste nell’india tribale. E molte sono state le donne
>che hanno abbandonato la propria realtà di oppressione e abbracciato la
>guerriglia. Il numero di donne coinvolte nell’insurrezione maoista é
>infatti sorprendente alta, e tocca quasi il 50 % del totale dei militanti.
>Nonostante il movimento maoista sia genuinamente rivoluzionario é
>necessario interrogarsi sulle reali possibilità di riuscita
>dell’insurrezione armata per la conquista finale del potere ed il
>conseguente rovesciamento del governo capitalista indiano. Su questo punto
>il movimento pare essere abbastanza arretrato. Un modello rivoluzionario
>maoista, e in particolare quello attuato dai ribelli Naxaliti, vede
>nell’insurrezione delle masse contadine e delle zone rurali in generale, il
>perno su cui articolare la conquista del potere. La condizione dell’India
>nel 2010 é però molto diversa da quella della Cina degli anni ‘40 e ‘50.
>Più precisamente l’area tribale del centro dell’India é quella che più si
>avvicina alle condizioni in cui versava la Cina ai tempi di Mao, con una
>tessuto industriale praticamente inesistente, enorme povertà diffusa e
>ampie sacche che sfuggono completamente al controllo dello stato centrale.
>Non é però così in altre parti dell’India. Non annoverare l’India tra i
>paesi a pieno sviluppo capitalistico sarebbe un errore d’analisi enorme
>vista la forza della borghesia nazionale che si é sviluppata in particolare
>negli ultimi anni. Come sempre l’India é anche il paese dei contrasti tra i
>più stridenti. Nonostante il 70 % della popolazione viva in zone rurali di
>agricoltura e spesso organizzata in strutture feudali, la condizioni nelle
>grandi metropoli del paese é radicalmente distinta. Enormi masse di schiavi
>salariati affollano baraccopoli assolutamente fatiscenti, vittime dello
>sviluppo di un sistema di produzione capitalistico con tanto di apparato di
>repressione a tenere sotto controllo i centri di potere. Se nelle campagne
>si vive uno stato di quasi anarchia con intere aree in cui lo stato indiano
>é completamente inesistente, nella metropolitana di Delhi telecamere, metal
>detector e militari armati di mitra fanno parte dell’arredamento di ogni
>stazione.
>Il movimento maoista é praticamente inesistente nei contesti
>metropolitani. Così come inesistente é lo sforzo dei maoisti per
>organizzare gli operai e i lavoratori coinvolti nel tessuto industriale.
>Non si vuole sottovalutare il ruolo cruciale della popolazione rurale in un
>India prevalentemente contadina, ma a noi appare chiaro che in un paese
>capitalistico le catene dello sfruttamento padronale possono essere
>spezzate solo con una piena coscienza operaia. Questo non pare essere il
>modello rivoluzionario seguito dai ribelli Naxaliti. Una fetta dei partiti
>comunisti di stampo leninista, come il CPI(ml) e CGPI, e che lavorano
>quotidianamente per l’organizzazione delle lotte operaie, hanno scelto,
>però, strade molto diverse rispetto al CPI(m) e Left Front nel relazionarsi
>con i maoisti. Aperte critiche sono state portate avanti da parte di queste
>forze Marxiste-Leniniste alla linea rivoluzionaria maoista, ma in un
>contesto assolutamente interno riconoscendo la comunità di intenti nel
>combattere un nemico comune rappresentato dal potere borghese.
>Va anche detto che fino a questo punto il governo centrale ha mobilitato
>solo una minima parte della propria capacità militare. Questo non vuol dire
>che i maoisti non siano stati vittime di una repressione feroce e
>barbarica, ma semplicemente che le forze di polizia che fronteggiano i
>ribelli Naxaliti nelle foreste sono armate in maniera disastrosa, e spesso
>mancano addirittura di beni di prima necessità come cibo e vestiario
>appropriato. Non é chiaro come interpretare quest’atteggiamento dello stato
>indiano, ma c’è anche chi sostiene che i maoisti possano in qualche maniera
>risultare funzionali allo stato centrale a cui é così servita sul piatto
>d’argento una legittimazione per la perpetuazione delle barbariche
>violenze, anche nelle aree fuori dal controllo maoista, finalizzate a poter
>finalmente mettere le mani sulle enormi risorse naturali delle foreste
>dell’India centrale.
>Repressione dicevamo. L’atteggiamento delle forze di polizia nell’intera
>area tribale ricorda atteggiamenti medievali più che di repressione
>sistematica. Non si contano gli episodi in cui la polizia ha incendiato
>interi villaggi, stuprato donne ed effettuato uccisioni sommarie di cui
>ovviamente la propaganda borghese non parla affatto. Va da sé che
>l’atteggiamento dei giornali e delle televisioni cambia radicalmente nel
>dipingere, invece, gli attentati terroristici dei sanguinari maoisti contro
>le eroiche forze di polizia. Dopo la riorganizzazione del movimento maoista
>nel 2000 con la formazione del People Liberation Guerrilla Army (PLGA) le
>operazioni anti-ribelli, che già non andavano poi tanto per il sottile, si
>sono decisamente intensificate. La prima grande operazione per sradicare la
>resistenza Adivasi é iniziata nel giugno del 2005 con l’indizione da parte
>del governo del Chhattisgarh, supportato dal governo centrale guidato
>dall’INC, della Salwa Judim (letteralmente Caccia di Purificazione) in cui
>la polizia locale avrebbe dovuto costituire dei campi di accoglienza
>sorvegliati e controllati, dove far confluire la popolazione rurale per
>poterla controllare e addestrare a combattere i ribelli. Queste speciali
>forze di polizia tribali erano appunto chiamate “Special Police Officers”
>SPO. Chiaramente le metodologie per convincere la gente ad abbandonare le
>proprie case sono state delle più democratiche. Il primo ministro del
>Chhattisgarh dichiarò che chiunque non avesse lasciato i propri villaggi
>sarebbe stato considerato un maoista e trattato conseguentemente.
>Il primo villaggio fu bruciato solo qualche giorno dopo l’inizio
>dell’operazione. Ad esso seguirono una serie di violenze tanto numerose che
>è impossibile anche pensare di riportarle tutte. Sfortunatamente il
>risultato di quest’operazione di repressione massiccia non fu quello
>sperato. Le file maoiste si espansero enormemente in questo periodo,
>facendo perno su un’enorme parte della popolazione tribale che a causa
>delle violenze della polizia era stata privata di tutto, oltre ad aver
>maturato un senso di rabbia e voglia di giustizia. Ne conseguì un aumento
>nella capacità militare del movimento che presto passò alla controffensiva
>iniziando azioni di guerriglia contro la polizia regolare e gli SPO. La
>Salwa Judim é stata recentemente dichiarata conclusa con un totale
>fallimento.
>Un paio di dati sono interessanti per poter capire quanto l’interesse
>delle multinazionali sia centrale nella zona. La Salwa Judim é stata
>indetta giusto il giorno dopo il raggiungimento di un accordo che si aggira
>attorno al miliardo di euro tra la TATA e il governo BJP dello stato del
>Chhatisgarh, per la costruzione di una fabbrica di acciaio nella regione.
>Nonché da vari report pare che la stessa TATA e la Essar Steel, un’altra
>compagnia nel campo dell’acciaio, siano stati tra i maggiori finanziatori
>dell’operazione.
>Dopo il fallimento della Salwa Judim lo stato indiano, visti soprattutto
>gli interessi coinvolti nell’area, ha rilanciato dando inizio
>all’operazione Green Hunt. In quest’operazione, la cui esistenza é stata
>ripetutamente negata dal ministro dell’interno Chidambaran, sono state
>mobilitate non solo le forze di polizia locali ma anche quelle federali,
>ovvero del Central Reserve Padra Force (CRPF). Ed é proprio un battaglione
>delle CRPF che é stato letteralmente decimato il 6 aprile scorso in quella
>che rappresenta la più grande operazione della storia degli oltre
>cinquant’anni di insurrezione maoista in India: nel sud del Chhattisgarh,
>precisamente nelle foreste del Dantewada, 120 agenti delle (CRPF) sono
>caduti in un imboscata orchestrata dai ribelli Naxaliti. Di questi solo 44
>sono riusciti a sopravvivere. Quest’evento dimostra chiaramente quanto il
>movimento maoista sia più forte che mai. Ci sarà da vedere i connotati che
>la repressione assumerà nei mesi a seguire e se i ribelli Naxaliti
>sapranno, come fino ad ora hanno sempre fatto, incrementare il proprio
>supporto popolare anche da quest’ennesima ondata repressiva.
>

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