venerdì 2 aprile 2010

FIAMME NEI CIE

E il governo prepara un'azione repressiva con il pretesto della lotta al "terrorismo".

Il ministro Maroni ha convocato la riunione del comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza per fare il punto sulla protesta sociale con l'esplicita intenzione di stroncarla. Un "argomento" che compatterebbe attorno a sè anche settori dell'opposizione liberale sensibili al richiamo dell'unità nazionale contro le minacce "terroristiche". Un passaggio sempre utile ai comitati d'affari della borghesia per la costruzione di un regime.
Nel mirino della repressione, riportano i quotidiani, ci sono gli anarchici perchè quello che interessa al governo e alla Lega in particolare, dopo il voto, è colpire le rivolte continue nei lager di stato chiamati CIE e impedire che la protesta sociale segua il modello greco. La Grecia, purtroppo per noi, è ancora lontana ma la ribellione nei CIE, per il governo, è molto vicina.
Nell'annunciata operazione repressiva contro gli anarchici c'è l'intenzione di reprimere il movimento di solidarietà verso gli immigrati internati da leggi naziste, e lo stato terrorista cerca di avere così le mani libere per colpire le rivolte che si accendono dentro i CIE.
Mercoledì 31 marzo 2010 il movimento antirazzista romano ha diffuso un comunicato che denunciava l' ennesimo sciopero della fame e la rivolta a Ponte Galeria con i materassi dati alle fiamme contro "i pestaggi subiti e ai soprusi imposti quotidianamente dagli aguzzini in divisa, con la complicità delle associazioni che operano all'interno di questi campi di concentramento della democrazia.Somministrazione di psicofarmaci, cibo avariato, assenza di cure sanitarie, pessime condizioni igieniche e stupri sono all'ordine del giorno, come pure gli atti di autolesionismo che esprimono la disperazione di chi è costretto a sei mesi di reclusione in un lager per il solo fatto di non possedere un documento"."Tutto il centro è pieno di polizia: sono dappertutto – in tenuta antisommossa, con manganelli, scudi e caschi. Intorno all’una e venti si sentono anche degli spari.
Il bilancio della rivolta è di 200.000 euro di danni, l'impianto idraulico ed elettrico fuori uso, 4 evasi, un numero imprecisato di reclusi/e trasferiti/e in altri centri e 17 arrestati che verranno processati per direttissima il 31 marzo".
Non dimentichiamo che poco più di un mese fa c'è stato anche il rastrellamento contro gli antirazzisti a Torino il 23 febbraio ordinato dal PM Padalino con l'arresto di 6 compagni di cui tre in carcere (ancora in isolamento dal 23 febbraio) e tre ai domiciliari.
Dalla dichiarazione al processo di uno degli anarchici antirazzisti arrestati:
Buona parte degli imputati di questo processo sono anarchici, e accusar gli anarchici di “istigazione a delinquere” può sembrare un compito facile facile, quasi quanto sparare sulla Croce Rossa.
Portando in sé un senso di giustizia e di libertà che non si cura delle leggi, ogni anarchico fa della sua stessa vita un invito continuo a lottar contro le ingiustizie, e quindi a violare le leggi che le sanciscono: è una lunga e reiterata “istigazione a delinquere”, la vita di ogni anarchico.
Ma nella attesa che qualche nuova iniziativa legislativa metta finalmente fuorilegge gli anarchici in quanto tali, chi ci accusa oggi dovrà pur prendersi l’onere di provare che qualcuno abbia in qualche maniera indotto dall’esterno i prigionieri dei Cie di tutta Italia ad insorgere a turno ogni settimana che è passata da due anni a questa parte, causando centinaia di migliaia di euro di danni ed inceppando seriamente la macchina delle espulsioni. E dovrà pure trovare delle prove che questo “istigatore” sia qui seduto oggi sul banco degli imputati.
Queste prove, nella “ordinanza di custodia cautelare” che abbiamo tra le mani, non si riesce proprio a vederle. E non le si vede perché queste “istigazioni” non ci sono mai state, e non era necessario né giusto che ci fossero. Intanto perché non sono gli appelli alla lotta né gli slogan roboanti a spingere la gente alla rivolta. Semmai sono le ingiustizie che possono dare origine a conflitti che a loro volta seguono percorsi dentro ai quali ci stanno pure le rivolte.
E qui l’ingiustizia c’è, ed è palese. Si pretende che gente che ha messo a rischio tutto quello che aveva pur di raggiungere le nostre città si faccia sbattere fuori senza dire «bah!». Oppure che si lasci cacciare chi si è fatto sfruttare per anni nei cantieri, nei campi, o nei retrobottega dei ristoranti alla moda. Oppure ancora chi è arrivato qui da bambino e non ha nessuno che lo aspetti nel paese dal quale partirono al tempo i suoi genitori.
E come se tutto questo non fosse sufficiente a generare conflitto, dentro ai Centri i senza-documenti vengono privati di tutto, ridotti a corpi che si può lasciar morire per mancanza di cure o per la disperazione, che si può perquotere, oppure che si può palpeggiare - quando questi corpi sono corpi di donna.
Se tutto questo è vero - e nei faldoni di questo processo troverete tutto quanto vi serve per verificarlo - il conflitto dentro ai Centri non solo è scontato, ma è l’unico strumento col quale i reclusi possono riaffermare la propria umanità che altrimenti è negata.
Ed è per questo che i reclusi non hanno certo dovuto aspettar noi, né nessun altro, per cominciare a lottare, per provare a scavalcarli quei muri, o a buttarli giù. E non si son fermati neanche adesso, con grande scorno di chi ci ha fatto arrestare con la speranza ridicola di riportar la pace là dove la pace non ci potrà mai essere.
Non c’è stato nessun bisogno di una “istigazione” esterna, e non sarebbe stato giusto che ci fosse. Già perché i percorsi di lotta debbono sapersi costruire autonomamente, debbono rispecchiare un accumulo di esperienze e contemporaneamente delle fratture di chi è dentro, debbono trovare i propri tempi e i propri modi. Non sarebbe stato giusto dire: «adesso si sciopera», oppure «domani bruciate almeno due materassi» - come sembra sostenere senza intelligenza l’accusa.
Quel che abbiamo sempre detto invece è: «noi ci siamo». Che vuol dire mettere a disposizione i propri strumenti di informazione e la propria rete di contatti, che vuol dire favorire i rapporti tra i vari Centri in lotta, che vuol dire mettersi in gioco per amplificare il più possibile le voci dei reclusi, che vuol dire affiancare le proprie iniziative a quelle dei Centri. Tutto questo può influenzare in modo determinante il corso degli eventi, ma parlarne come di una “istigazione a delinquere” è una minchioneria questurina quasi offensiva nei nostri confronti.
Se si deve proprio dirla tutta, per quanto possa sembrare paradossale, in questi anni sono stati i reclusi ad “istigare” noi, e lo hanno fatto con tutta semplicità, affidando a noi le loro storie perché le raccontassimo, organizzandosi clandestinamente per fare uscire le foto dei pestaggi e le riprese delle cariche, insegnandoci che si può salire su di un tetto ad urlare «libertà!» anche quando si sa che non si otterrà altro che bastonate. Le immagini agghiaccianti dei soldati che partono alla carica dentro alle gabbie del Cie di Gradisca sono immagini che ci obbligano a far qualcosa, perché mettono le nostre coscienze con le spalle al muro.
E allora il problema vero, in città, non è “chi istiga chi” ma chi non si lascia mai istigare, chi guarda e passa avanti come se nulla fosse.
Ma questa è un’altra storia.
(Quello qui sopra è il testo della dichiarazione letta da uno degli arrestati del 23 febbraio durante l’udienza del Tribunale della Libertà del 9 marzo scorso)

Terrorista è il governo Berlusconi-Bossi, è il razzismo di stato del pacchetto sicurezza, dei CIE, della legge Bossi-Fini!

2/04/2010
proletari comunisti
prolcomra@gmail.com

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